L’abuso d’ufficio: parte I

      Il reato di abuso d’ufficio ha subito svariate modifiche nel corso degli anni. La prima modifica normativa, intervenuta nel 1990, ha inteso attribuire un maggior grado di determinatezza all’abuso d’ufficio al fine di arginare il fenomeno di supplenza giudiziaria che si era consolidato nel tempo pur tuttavia, nella prassi applicativa, il concetto di abuso punibile ha continuato a provocare pesanti incursioni della magistratura penale nella sfera merito amministrativo. Proprio per rimediare un tale fallimento, il legislatore ha introdotto con la legge 16 luglio 1997 n. 234 una modifica ulteriore con l’intento, da un lato, di ovviare alla genericità della figura previgente (che faceva riferimento al pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che “abusa del suo ufficio”) dall’altro lato al fine di limitare il più possibile la facoltà del giudice penale di introdursi con il suo sindacato nei settori riservati istituzionalmente all’attività discrezionale della pubblica amministrazione.

     L’ultima modifica all’art. in esame risale al 2020 : il Decreto-legge del 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. Decreto Semplificazioni, conv. In l. 11 settembre 2020, n. 120), con l’art. 23 ha sostituito il sintagma “in violazione di norme di legge o di regolamento” con la formulazione più restrittiva“in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità” si rende pertanto necessario analizzare prima la formulazione normativa del 1997 eppoi quella attuale al fine di capire le ragioni e le conseguenze nella novella normativa.

  • Testo previgente al 2020

     Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.

    Il bene giuridico tutelato coincide con il buon andamento di imparzialità della pubblica amministrazione.

   Soggetto attivo. Il reato può essere commesso solo da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio si tratta pertanto di un reato proprio, nel quale il concorso del privato è configurabile, secondo i principi generali, con riguardo a qualsiasi partecipazione, anche morale, del destinatario del vantaggio il quale non si limiti alla mera accettazione di quest’ultimo. Tale partecipazione dell’estraneo all’abuso posto in essere dal soggetto qualificato può quindi comprendere, oltre alla determinazione e all’istigazione, eventualmente anche a mezzo di intermediari. Affinché si configuri il concorso dell’ estraneo nel reato, deve essere provata l’intesa intercorsa col pubblico funzionario o la sussistenza di pressioni o sollecitazioni dirette ad influenzarlo, non potendo dedursi tale collusione dalla semplice presenza dell’istanza, ancorchè oggettivamente infondata, e del suo accoglimento (Cass. Sez VI 25/2/2003 n. 15116)

   Soggetto passivo. Il reato in esame consiste nel vantaggio del pubblico ufficiale o di altri oppure nel danno ingiusto arrecato ad altri. “Ciò significa che l’abuso è idoneo a ledere oltre l’interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della pubblica amministrazione e alla imparzialità dei pubblici funzionari, anche l’interesse del privato a non essere turbato nei suoi diritti costituzionalmente garantiti e a non essere danneggiato dal comportamento illegittimo id ingiusto del pubblico ufficiale. Ne consegue che il soggetto al quale tale condotta abbia recato un danno riveste la qualifica di persona offesa dal reato, legittimato non solo a costituirsi parte civile quando il processo di inizio (diritto spettante anche al solo danneggiato), ma anche a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione del pubblico ministero in applicazione degli articoli 409, 410 del codice di procedura penale” (cass. Sez. V, 16/4/2003 n. 18061).

Elemento oggettivo. L’integrazione del reato richiede una duplice distinta valutazione di ingiustizia sia della condotta sia dell’evento di vantaggio patrimoniale (cd doppia ingiustizia).“Il delitto di abuso d’ufficio integrato dalla doppia autonoma ingiustizia, sia della condotta che deve essere connotata da violazioni di norme di legge o di regolamenti, che dell’evento di vantaggio patrimoniale che deve risultare non spettante in base al diritto oggettivo ne deriva che reato non è configurabile qualora l’accrescimento contra ius nella sfera patrimoniale di un privato non derivi dalla deliberata strumentalizzazione della funzione da parte del pubblico agente che, abusando della sua funzione per finalità di carattere privatistico abbia violato specifici parametri normativi al fine di favorire o danneggiare qualcuno” (CASS. SEZ v. 19/02/2014 N. 32023).

   L’abuso d’ufficio è configurabile in relazione a qualsiasi atto della pubblica amministrazione, compresi gli atti consultivi e quelli non definitivi e meramente preparatori nonché quelli non vincolanti (Cass. Sez. VI 16/02/94 n. 622), con esclusione delle norme meramente procedimentali, da intendersi rigorosamente come quelle destinate a svolgere la loro funzione all’interno del procedimento, senza incidere in modo diretto ed immediato sulla decisione amministrativa (Cass. Sez. VI I16 /5/2005 n. 18149).

   Ad esempio è idonea ad integrare il reato l’inosservanza da parte del pubblico ufficiale del dovere di motivazione del provvedimento e della forma scritta imposta dall’articolo tre della legge 7 agosto 1990 numero 241. Ulteriormente al fine dell’integrazione dell’elemento oggettivo del delitto di abuso d’ufficio è necessario che la condotta sia realizzata nello svolgimento delle funzioni del servizio con esclusione pertanto degli atti compiuti con difetto assoluto di attribuzione (Cass. Pen. 3 ottobre 2017, n. 52053).

   L’elemento materiale del delitto di abuso d’ufficio può essere realizzato anche attraverso una condotta omissiva, purché si tratti del mancato esercizio di un potere esplicitamente attribuito al pubblico un funzionario.

  Vantaggio patrimoniale. Il vantaggio per qualificarsi ingiusto non solo deve essere prodotto non jure ma essere anch’esso stesso contra jus, cioè un vantaggio patrimoniale non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia. Si ha vantaggio patrimoniale in tutti i casi in cui l’abuso sia finalizzato a creare una situazione favorevole per il complesso di diritti soggettivi a contenuto patrimoniale facenti capo un determinato soggetto indipendentemente dall’effettivo l’incremento economico.

   Ad esempio tale fattispecie è integrata dalla condotta di un componente di una commissione esaminatrice che elude la prescrizione dell’anonimato della prova scritta allo scopo di valutare più favorevolmente un candidato e quindi procurare ad esso un ingiusto vantaggio patrimoniale (Cass. Sez. VI, 9/6/97 n. 6702).

   Il vantaggio patrimoniale va riferito al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale e sussiste non solo quando la condotta procura beni materiali o altro a favore di colui nel cui interesse l’atto è stato posto in essere, ma anche quando la stessa arrechi un accrescimento della situazione giuridica soggettiva: ad esempio per la S. C. il rilascio di un permesso in sanatoria in contrasto con lo strumento urbanistico di zona e per opere non sanabili nonché l’omessa revoca del permesso di costruire e la mancata emissione dell’ordinanza demolitoria sono provvedimenti e comportamenti che consentono di realizzare una situazione economicamente vantaggiosa per il privato, che oltre a beneficiare del valore intrinseco del manufatto, può locarlo, alienarlo, comunque usufruirne (Cass. Penale 13 dicembre 2017 n. 4140), oppure un danno ingiusto arrecato a qualcuno.

   Elemento soggettivo. Per l’integrazione del reato è necessario il dolo intenzionale del soggetto agente, ossia la rappresentazione e la volizione dell’evento come conseguenza diretta immediata della condotta e obiettivo primario da costui perseguito. Il dolo intenzionale riguarda soltanto l’evento del reato mentre gli altri elementi della fattispecie sono oggetto di dolo generico (Cass. Sez. VI, 20/04/2011 n. 341116). Si stabilisce pertanto un’assoluta omogeneità tra momento rappresentativo e momento volitivo con esclusione quindi della rilevanza del cosiddetto dolo eventuale (Cass. 22/09/2016 n. 49538). La prova dell’intenzionalità del dolo esige raggiungimento della certezza che la volontà dell’imputato fosse orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto e tale certezza non può essere ricavate esclusivamente dal rilievo di un comportamento “non iure” osservato dall’agente ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici che evidenzino la effettiva “ratio” ispiratrice del comportamento, quali ad esempio la specifica competenza professionale dell’ agente, l’apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento e il tenore dei rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento stesso ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno (Cass. Pen. 11/10/2017 n. 46788).

   Dovere di astensione. L’articolo 323 cp ha introdotto nel nostro ordinamento, in via diretta in generale, un dovere di astensione per il pubblico ufficiale incaricato di pubblico servizio che si trovi in una situazione di conflitto di interessi. Pertanto, l’inosservanza di tale dovere comporta, in presenza di tutti gli altri requisiti previsti dalla legge l’integrazione del reato di abuso d’ufficio anche qualora faccia difetto relativamente al procedimento nell’ambito del quale l’agente chiamato operare, una specifica disciplina d’astensione o quest’ultima riguardi un numero più ridotto di ipotesi o si apriva di carattere cogente e senza che sia nemmeno necessario individuare alcuna violazione di legge o di regolamento perché possa ritenersi sussistente l’elemento materiale del reato (Cass. Sez. VI  15 Dicembre 2015, n. 4973).

    Consumazione e tentativo

   Il momento consumativo del reato di abuso d’ufficio da cui decorre il termine di prescrizione coincide, per la sua natura di reato di evento, con la data di avvenuto conseguimento dell’ ingiusto vantaggio patrimoniale o con la produzione ad altri di un danno ingiusto.

  È configurabile il tentativo di abuso d’ufficio qualora il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio ponga in essere, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti atti idonei diretti in modo non equivoco alla realizzazione di un danno ingiusto o di un vantaggio patrimoniale ingiusto.

   Esempi di abuso d’ufficio:

  • Per la SC integra il delitto di abuso d’ufficio la condotta di un agente della polizia di Stato, addetto al posto fisso presso l’ospedale che, per un discreto arco temporale, aveva utilizzato il fax dell’ufficio per ricevere e trasmettere documenti, atti, consegnategli dai clienti proprio all’interno dell’ufficio, alla società con la quale collaborava per curare pratiche infortunistiche, destinando l’ufficio a succursale della stessa (Cass. 30 Maggio 2016 n. 22800).
  • integra l’abuso d’ufficio il comportamento del pubblico ufficiale volta a procurare in maniera illegittima delle assunzioni ad un pubblico impiego, atteso che il profitto o il vantaggio ingiusto di natura patrimoniale configurato dalla stessa attribuzione della posizione impiegatizia o del relativo status, a nulla rilevando che il vantaggio patrimoniale allo stato acquisito dal soggetto beneficiario sia avvenuto in modo lecito per effetto di prestazione di attività lavorativa (Cass. 2 Aprile 2014, n. 15158);
  • integra il delitto di abuso d’ufficio la condotta del sindaco che, per mero spirito di ritorsione, revoca l’incarico di un dirigente di un settore comunale (Cass. Sez VI 7/5/2009 n 19135);
  • deve ritenersi che la concessione edilizia senza rispetto del piano regolatore generale integra una violazione di legge rilevanti ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo 323 cp ( Cass. Sez. VI 29/05/2000 n. 6247);
  • il consigliere comunale ha il dovere di astensione ed è conseguentemente configurabile il reato, qualora partecipi a delibere su opposizioni al piano regolatore generale riconducibili a interessi personali sia propri dell’amministratore sia di un prossimo congiunto (Cass pen 28 gennaio 2015 n. 12642).

    La condotta incriminata: Violazione di norme di legge e regolamenti.

    In tema di abuso d’ufficio la Cassazione, prima del 2020, è stata chiamata più volte a definire il concetto di violazione di legge il quale non equivale a quello di invalidità degli atti amministrativi[1].

    Per la Suprema Corte il legislatore “non ha inteso limitare la portata applicativa dell’art. 323 c.p. ai casi di violazione di legge in senso stretto, avendo voluto far rientrare anche le altre situazioni che integrano un vizio dell’atto amministrativo: dunque, anche le ipotesi di eccesso di potere, configurabili laddove vi sia stata oggettiva distorsione dell’atto dal fine di interesse pubblico che avrebbe dovuto soddisfare; e quelle di sviamento di potere, riconoscibili se il potere pubblico è stato esercitato al di fuori dello schema che ne legittima l’attribuzione (in questo senso Sez. Un., n. 155 del 29/09/2011).

    Esempio: Il dirigente che per favorire ovvero discriminare un suo subordinato ha adottato soluzioni organizzative in apparenza conformi a legge, ma in realtà dettate dall’intento di “premiare” qualcuno o “punire” qualcun altro. Se la condotta dovesse essere riguardata sotto il profilo della stretta legalità formale, probabilmente l’atto sarebbe immune da censura; se al giudice penale, si riconosce invece, il potere di sindacare il motivo vero che ha indotto quel dirigente a conferire posizioni di vantaggio al proprio favorito ovvero emarginare il dipendente scomodo, il risultato processuale potrà essere del tutto opposto, pervenendosi ad un giudizio di affermazione di responsabilità per violazione del principio di imparzialità (Cass., Sez. VI, 14 giugno 2012, n. 41215).

    Nello stesso senso C., Sez. VI Sent., 13/04/2018, n. 19519, che specifica che la violazione di legge cui fa riferimento l’art. 323 c.p. riguarda non solo la condotta del pubblico ufficiale in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quelle che siano dirette alla realizzazione di un interesse collidente con quello per quale il potere è conferito, ponendo in essere un vero e proprio sviamento della funzione.

  Ulteriormente:“L’abuso d’ufficio si configura, non solo quando la condotta si pone in contrasto con una norma di legge o di regolamento, ma anche quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, concretandosi così in uno svolgimento della funzione o del servizio che oltrepassa ogni possibile scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale per realizzare tale fine (Cass. pen., Sez. V, sent. 16 giugno 2010, n. 35501).

  Vi sono inoltre decisioni che hanno attribuito al principio di imparzialità ex art. 97 Cost. una valenza prescrittiva, dalla quale ricavare vere e proprie regole di comportamento, deducendo quindi l’idoneità di tale principio ad integrare il concetto di violazione di norme di legge di cui all’art. 323 c.p.

   Ad es. “in tema di abuso d’ufficio, il requisito della violazione di norme di legge può essere integrato anche solo dall’inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della p.a., per la parte in cui esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi che impone al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione”. (Cass. pen., Sez. VI, sent. 12 febbraio 2011, n. 27453. Nello stesso senso anche: C., Sez. II, sent. 10 giugno 2008, n. 35048; C., Sez. VI Sent., 12.06.2018, n. 49549; C., Sez. VI, 17.2.2011, n. 27453; C., Sez. VI, 20.1.2009, n. 9862; C., Sez. II, 10.6.2008, n. 35048; C., Sez. VI, 12.2.2008, n. 25162).

    Ancora, il requisito della violazione di legge è stato riconosciuto (C. Sez. VI Sent., 11/12/2018, n. 1742) nel caso dell’adozione di un atto formalmente qualificato come di indirizzo politico, ma in concreto avente un contenuto dettagliato e specifico, direttamente eseguibile da parte dei funzionari amministrativi (si trattava di una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il reato di abuso d’ufficio in relazione ad una delibera di giunta comunale, avente natura di atto endoprocedimentale, con la quale illegittimamente si autorizzava il conferimento di un incarico esterno per lo svolgimento di servizi dell’ente, indicandosi che la selezione avvenisse sulla base di requisiti professionali predeterminati in modo da garantirne il conferimento al soggetto che si intendeva favorire).

   Tuttavia si segnala che la Suprema corte (Cass. pen. Sez. V Sent. 13/11/2019, n. 49485) ha, recentemente, ritenuto riscontrabile la violazione di legge in tutte le ipotesi di contrasto tra il provvedimento e le disposizioni normative contenute in fonti di rango primario o secondario che definiscono i profili vincolati, formali o sostanziali, del potere e non, invece, l’eccesso di potere, sotto forma dello sviamento, che ricorre quando, nei provvedimenti discrezionali, il potere viene esercitato per un fine diverso da quello per cui è attribuito.

[1] La violazione di legge costituisce l’ultimo dei vizi di legittimità dell’atto amministrativo tra quelli indicati dal più volte richiamato art. 26 del R.D. n. 1054/1924 ed oggi dall’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990. La violazione d legge indica il contrasto tra l’atto e l’ordinamento giuridico e può estrinsecarsi in un vizio della forma, in un vizio della motivazione, in un vizio del procedimento in un vizio della composizione dei collegi, in un vizio del contenuto, oppure può originare dalla violazione dei principi di efficacia, trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 1 della L. n. 241/1990 o dei principi del giusto procedimento e della leale cooperazione di cui alla medesima legge.

 

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