la Cassazione ribadisce l’incompatibilità del dolo eventuale con il tentativo

Cass. sez. I, 17 febbraio 2022, n. 5586
LA MASSIMA
    “Il dolo eventuale non è compatibile con il delitto tentato, il cui elemento soggettivo può essere integrato già dal dolo diretto, anche nella forma alternativa, o dal dolo intenzionale. In particolare, nel delitto di tentato omicidio, ai fini della sussistenza del reato è sufficiente il dolo diretto, rappresentato dalla cosciente volontà di porre in essere una condotta idonea a provocare, con certezza o alto grado di probabilità in base alle regole di comune esperienza, la morte della persona verso cui la condotta stessa si dirige, non occorrendo, invece, la specifica finalità di uccidere, e quindi il dolo intenzionale, inteso quale perseguimento dell’evento come scopo finale dell’azione”.

    IL CASO
  Il giudice di primo grado ha condannato l’imputato, tra gli altri, per il delitto di tentato omicidio, commesso ai danni di un agente di polizia mentre cercava di darsi alla fuga con l’auto, dopo aver commesso il delitto di furto con strappo.
 In particolare, l’imputato nel corso della fuga si era introdotto in una traversa senza sfondo, così che i due poliziotti erano scesi dall’autovettura di servizio e avevano cercato di aprire le portiere del mezzo. Tuttavia, l’imputato aveva approfittato di uno slargo per invertire il senso di marcia. Di conseguenza, entrambi i poliziotti avevano estratto l’arma, mettendosi di fronte all’autovettura per bloccarla. Dinnanzi a questi comportamenti l’imputato aveva accelerato investendo uno degli agenti che, con una mossa fulminea, era riuscito a evitare l’impatto frontale con la vettura purtuttavia veniva attinto alle gambe con la parte anteriore laterale destra del veicolo e scaraventato sul parabrezza del mezzo per poi cadere dietro di essa dopo una giravolta sul parabrezza.
   Orbene, la Corte d’appello ha confermato la qualificazione del delitto come tentato omicidio, evidenziando che, l’imputato non si era fermato trovandosi difronte gli agenti ma aveva accelerato la marcia per darsi alla fuga. La Corte deduceva dal comportamento tenuto nel corso della fuga che l’imputato, a ogni costo, anche accettando di uccidere chi si opponeva alla sua volontà di rimanere impunito, volesse sfuggire ai suoi inseguitori.
    Per questo la Corte d’appello qualificava espressamente il dolo dell’agente come eventuale, presumendo che egli avesse come unico obiettivo quello di mettersi al sicuro, prefigurandosi l’eventualità di causare lesioni fatali agli agenti e, contestualmente, accettandone il rischio.
     L’imputato proponeva ricorso in Cassazione e con il primo dei motivi  denunciava la violazione degli artt. 56 e 575 c.p..richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla incompatibilità tra delitto tentato e dolo eventuale, in applicazione del quale la condotta avrebbe dovuto essere riqualificata come delitto di lesioni.

       Il dolo eventuale 

 Secondo il pensiero giuridico tradizionale, il dolo rappresenta l’unica e autentica manifestazione di volontà colpevole. La sua normalità applicativa determina l’eccezionalità degli altri titoli di imputazione. Ne deriva che in materia di delitti l’imputazione a titolo colposo o preterintenzionale deve essere necessariamente richiamata dalla legge.

     Il soggetto che commette il delitto con dolo è esposto a un giudizio di maggiore riprorevolezza per l’adesione volontaristica al fatto, non solo previsto ma anche perseguito o accettato. È questa la connotazione che distingue profondamente il dolo dalle altre manifestazioni della responsabilità penale colpevole. Volontà e previsione esauriscono il requisito psicologico dell’agente secondo il dettato dell’art. 43 cp.

La giurisprudenza e gran parte della dottrina hanno elaborato tre distinte forme di intensità del dolo.

In posizione di maggiore gravità si colloca il dolo intenzionale che ricorre quando il soggetto agisca proprio per realizzare l’evento tipizzato dalla norma o come mezzo necessario per ottenere un ulteriore risultato.

      Il dominio volontaristico si attenua con la categoria del dolo diretto che si profila quando l’evento non è l’obiettivo della condotta ma l’agente lo prevede e lo accetta come conseguenza o altamente probabile.

     L’ultimo stadio è appunto costituito dal dolo eventuale che ricorre quando l’agente pone in essere una condotta diretta ad altri scopi ma si rappresenta la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze. Pur tuttavia agisce e accetta il rischio di cagionarle. In quest’ultima ipotesi l’evento tipico appare diverso e collaterale rispetto a quello primario perseguito. Tale prospettazione psicologica è attratta nell’alveo del dolo poiché denota indifferenza del soggetto verso la norma e disprezzo dei valori dalla stessa tutelati.

     Nel dolo diretto l’evento tipico è accettato come prezzo certo, nel dolo eventuale è una conseguenza probabile.        Spetterà solo all’indagine quantitativo-probabilistica sull’evento accessorio nella rappresentazione mentale del soggetto, guidare l’interprete nel distinguere fra i due profili dolosi dell’agente.

Il delitto tentato

La figura di delitto tentato è delineata nell’articolo 56 cp che recita: “Chi compie atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato se l’azione non si compie o l’evento non si verifica”

Atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto sono quelli che esteriorizzano un’intenzione criminosa, senza però che il crimine sia stato commesso; o perché manca l’evento, nonostante la condotta sia stata realizzata, oppure perché la condotta è stata realizzata solo in parte.

Si distingue poi un tentativo compiuto da uno incompiuto. La distinzione la si ricava dal testo dell’articolo 56, ove è detto “quando l’evento non si compie o l’azione non si verifica”:

  • il tentativo compiuto si ha quando il reo ha posto in essere tutto l’iter criminoso, fino alla fine, ma l’evento non si è verificato (ad es. l’omicida spara un colpo che non colpisce il bersaglio);
  • è incompiuto quando la condotta criminosa non è stata portata a termine.
     LA QUESTIONE AFFRONTATA DALLA SUPREMA CORTE
      La Corte di Cassazione si è pronunciata sull’elemento soggettivo del tentativo e sulla compatibilità con tale delitto del dolo eventuale.
    SOLUZIONE
     In accoglimento del motivo di ricorso richiamato, la Suprema Corte ha pronunciato l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
     Prima di tutto la Corte di Cassazione ha evidenziato il silenzio del ricorrente sul requisito della idoneità degli atti: la velocità dell’autovettura non era moderata e  il corpo del soggetto investito  ha fatto una giravolta in aria per poi cadere dalla parte opposta del mezzo. Dalla richiamata dinamica la Cassazione ha dedotto che l’esito della condotta avrebbe potuto essere letale e che solo la reazione del poliziotto ha impedito lesioni più gravi.
 Ciò detto la Suprema Corte ha rilevato che pronuncia impugnata contraddice il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità sull’elemento soggettivo del delitto tentato, in quanto ha riconosciuto nel tentato omicidio il dolo eventuale.
    In conclusione la Cassazione ha ribadito l’incompatibilità del dolo eventuale con il tentativo e ha affermato che l’elemento soggettivo del delitto tentato può essere integrato già dal dolo diretto, anche nella forma alternativa, o dal dolo intenzionale. In particolare, la Corte ha precisato come ai fini della sussistenza di un omicidio tentato sia sufficiente il dolo diretto, rappresentato dalla cosciente volontà di porre in essere una condotta idonea a provocare, con certezza o alto grado di probabilità in base alle regole di comune esperienza, la morte della persona verso cui la condotta stessa si dirige, non occorrendo, invece, la specifica finalità di uccidere, e quindi il dolo intenzionale, inteso quale perseguimento dell’evento come scopo finale dell’azione.
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Pubblicato da evasimola

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