Il principio “Tempus regit actum”

    Il diritto penale sostanziale e il diritto processuale sono complementari sebbene esistano fondamentali differenze di disciplina. Al fine di identificare se una norma è processuale o sostanziale la collocazione nel codice non è decisiva: nel codice penale sono presenti norme che presentano prevalenti connotazioni processuali come ad esempio l’art. 11 cp mentre il meccanismo di applicazione della pena disciplinato dall’art. 444 cpp ( cd c patteggiamento) è da molti ritenuto un istituto di diritto sostanziale.

In linea generale il criterio differenziale è il seguente: la norma che stabilisce le condizioni per l’esistenza di un reato e le caratteristiche della sanzione appartiene al diritto penale; mentre la norma che fissa le regole in base alle quali accertare l’eventuale responsabilità di un soggetto avrà natura processualpenalistica.

La ragione per la quale è importante distinguere i due tipi di norme ha carattere concreto sotto due profili:

  1. ai sensi dell’art. 14 disposizioni preleggi cc. Il diritto penale sostanziale non consente il ricorso all’analogia ammesso invece in ambito processuale;
  2. il principio di irretroattività sfavorevole opera solo sul piano sostanziale mentre nel diritto processuale opera il diverso principio” tempus regit actum” ( “il tempo regola l’azione” in virtù del quale l’atto processuale è soggetto alla disciplina vigente al momento in cui viene compiuto, sebbene successiva all’introduzione del giudizio).

Per meglio comprendere la rilevanza del principio ”tempus regit actum” si riporta un caso concreto: Cass. 3 sez. , n.3719/22

   Con ordinanza del 1. luglio 2021 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Prato ha disposto, a norma dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., la trasmissione degli atti al Pubblico ministero per l’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio nei confronti di W. X., titolare della ditta individuale P. M. H., indagata per il reato di cui all’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 relativamente all’anno di imposta 2015.

    (Detto altrimenti il GUP, ai sensi dell’art. 33-sexies, comma 1, cod. proc. pen., ha disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero nell’erroneo presupposto che per il reato per il quale è stato richiesto il rinvio a giudizio l’azione penale doveva essere esercitata con citazione diretta a giudizio (art. 550 cp).

    Semplificando al massimo nell’ambito del rito monocratico, per i reati indicati tassativamente dall’art. 550 c.p.p., il pubblico ministero esercita l’azione penale con l’emissione della citazione diretta a giudizio cioè notifica, al termine delle indagini preliminari, un decreto all’imputato contenente i capi di imputazione e la data e ora nella quale comparire davanti al giudice monocratico del tribunale di competenza per rispondere dei reati a lui ascritti, ne deriva che l’istituto si caratterizza per l’assenza  dell’udienza preliminare (l’imputato compare davanti al GUP) la quale svolge funzione di  controllo preventivo sulla fondatezza dell’accusa elevata dal pubblico ministero ( diversamente da quanto avviene con il rinvio a giudizio dove l’imputato compare davanti al GUP per l’udienza preliminare). Il sacrificio di questa garanzia viene parzialmente compensato dal fatto che il PM è tenuto ad osservare le disposizioni di cui all’art. 415 bis c.p.p. – come esplicitamente gli impone l’art. 550, co. 1, c.p.p. –, ponendo quindi l’imputato in condizione di esporre le proprie difese, nonché di ottenere il compimento di eventuali atti di investigazione da parte del pubblico ministero. È evidente come nell’ambito di questa procedura, l’informazione difensiva circa gli elementi investigativi raccolti, collegata all’art. 415 bis c.p.p., si riveli – mancando l’udienza preliminare – ancor più necessaria di quanto non lo sia nel contesto del modulo caratterizzato dalla richiesta di rinvio a giudizio).

    Avverso il predetto provvedimento il Pubblico ministero ha proposto ricorso per cassazione articolato su un complesso motivo di impugnazione, quanto alla ritenuta abnormità dell’atto. In particolare, il ricorrente ha osservato che – a seguito della novella di cui alla legge 19 dicembre 2019, n. 157 – l’inasprimento della sanzione edittale (ora compresa nella forbice tra due e cinque anni di reclusione) avrebbe comportato necessariamente l’esercizio dell’azione penale tramite la richiesta di rinvio a giudizio atteso il superamento del limite di quattro anni di reclusione già vigente, ed in ragione della immediata applicabilità delle regole processuali soggette al principio del tempus regit actum. In tal senso si era verificata una stasi del procedimento stante la sua regressione indebita al Pubblico ministero, tenuto in via alternativa all’emissione di un decreto di citazione nullo ovvero di una richiesta di rinvio a giudizio in violazione dell’ordinanza del G.u.p.

(Quindi il Pm, valutando che l’ordinanza del GUP fosse abnorme ha proposto ricorso per Cassazione. L’abnormità costituisce, come è noto, una forma di patologia dell’atto giudiziario priva di riconoscimento testuale in un’esplicita disposizione normativa, ma frutto di elaborazione da parte della dottrina e della giurisprudenza, tramite cui si è inteso porre rimedio, attraverso l’intervento del giudice di legittimità, agli effetti pregiudizievoli derivanti da provvedimenti non previsti come impugnabili, ma affetti da tali anomalie genetiche o funzionali, che li rendono difformi ed eccentrici rispetto al sistema processuale e con esso radicalmente incompatibili.

 Più precisamente secondo il PM, nel momento in cui esercitava l’azione penale, la norma penale incriminatrice superava il limiti edittali (di pena) richiesti dal 550 cp per la citazione diretta pertanto si doveva procedere con il rinvio a giudizio: detto altrimenti si trattava di applicare una norma procedurale e non di fare una valutazione sull’imputazione e quindi sulla pena edittale applicabile al caso concreto.

     Per la suprema Corte il ricorso è fondato perché “come è stato correttamente evidenziato dal ricorrente, ed integralmente recepito anche dal Procuratore generale con idoneo corredo di analoghe decisioni di questa Corte, in tema di esercizio dell’azione penale con citazione diretta a giudizio, il rinvio previsto dall’art. 550 cod. proc. pen. alla pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni è “fisso” in quanto, stante l’inderogabilità del principio tempus regit actum in ambito processuale, va riferito alla norma vigente al momento dell’esercizio dell’azione penale e non già a quella di diritto sostanziale concretamente applicabile all’imputato, sulla base dei criteri che regolano la successione delle leggi penali del tempo (Sez. 2, n. 9876 del 12/02/2021, Macrì, Rv. 280724). In conseguenza di ciò, deve considerarsi abnorme, in quanto determina una indebita regressione del procedimento, l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga la restituzione degli atti al Pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio (Sez. 2, n. 28304 del 25/06/2021, Ariani, Rv. 281802; Sez. 3, n. 18297 del 04/03/2020, Castigliola, Rv. 279238, in fattispecie relativa al reato di cui all’art. 4, comma 4-bis, della legge 13 dicembre 1989, n. 2 Corte di Cassazione – copia non ufficiale 401, trasformato in delitto punito con pena detentiva superiore nel massimo a quattro anni dal d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modifiche, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, dove la Corte ha precisato che, essendo stata esercitata l’azione penale dopo l’anzidetto intervento normativo, correttamente il Pubblico ministero aveva formulato richiesta di rinvio a giudizio, anziché procedere con decreto di citazione diretta, trovando applicazione il principio tempus regit actum). In tal senso, pertanto, attesa l’immediata applicabilità della norma che aveva determinato, relativamente alla fattispecie per cui vi è indagine, il superamento del limite edittale del quadriennio, doveva procedersi all’esame della richiesta di rinvio a giudizio, siccome richiesto dal Pubblico ministero. In ragione di ciò, deve disporsi l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, con trasmissione degli atti al Tribunale di Prato per l’ulteriore corso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Prato per l’ulteriore corso. Così deciso in Roma il 14/01/2022”.

   In conclusione e in estrema sintesi la Cassazione concordando con le argomentazioni del ricorrente afferma che trovando applicazione in materia processuale il principio tempus regit actum (diversamente dalle regole che disciplinano la successione delle leggi in materia sostanziale) l’ordinanza del GUP deve considerarsi abnorme, in quanto determina una indebita regressione del procedimento.

 

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Pubblicato da evasimola

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