Il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori

La presenza negli uffici di pc e telefonini ha accentuato l’esigenza, da parte dei datori di lavoro, di controllo dei tempi di effettiva attività lavorativa dei dipendenti. Tra i tanti casi vi è quello di una donna, M.B., che aveva fatto installare presso il proprio distributore di benzina, senza però darne avviso, delle telecamere per sorvegliare i propri lavoratori. Successivamente gli agenti accertatori avevano contestato il reato previsto dagli articoli 4 e 38 dello Statuto dei Lavoratori ed il Tribunale, aveva condannato MB, rappresentante legale dell’azienda, alla pena, condizionalmente sospesa, di euro 400,00 di ammenda. Dopo la condanna in primo grado l’imputata proponeva appello, convertito in ricorso per Cassazione, rigettato tuttavia dalla Suprema Corte.

Con sentenza n. 51897 del 6 dicembre 2016, la Sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che l’installazione ed il monitoraggio dell’attività dei lavoratori costituisce reato penale in caso di assenza dell’accordo sindacale o di autorizzazione degli ispettori della Direzione territoriale del Lavoro. Il reato sussiste anche in presenza delle modifiche apportate, all’art. 4 della Legge 300/1970 , dal c.d. Jobs Act (articolo 23 del Decreto legislativo n. 151/2015) infatti, premettendo che “la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che, anche a seguito dell’abrogazione espressa degli artt. 4 e 38 della L. 20 maggio 1970, n. 300, costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, in quanto sussiste continuità normativa tra l’abrogata fattispecie e quella attualmente prevista dall’art.  171 in relazione all’art. 114 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Sez. 3, n.40199 del 24/09/2009, Masotti, Rv. 244902), la terza Sezione ha ricordato come il decreto 23/2015, attuativo di alcune deleghe contenute nel Jobs Act, abbia modificato la L. 300/70, rimodulando la fattispecie che prevede il divieto dei controlli a distanza, nella consapevolezza di dover tener conto, nell’attuale contesto produttivo, oltre degli impianti audiovisivi, anche degli altri strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori e di quelli utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” e che dunque sussiste continuità di illecito, anche a seguito delle modifiche normative, in quanto “con la rimodulazione dell’art. 4  dello  Statuto  dei Lavoratori, è solo apparentemente venuto meno il divieto esplicito di controlli a distanza, nel senso che il superamento del divieto generale di detto controllo non può essere  predicato sulla base della mancanza, nel nuovo articolo 4,  di una indicazione espressa (com’era nel comma ldel previgente art. 4) di un divieto generale di controllo a distanza sull’attività del lavoratore, avendo la nuova formulazione solamente adeguato l’impianto normativa alle sopravvenute innovazioni tecnologiche e, quindi, mantenuto fermo il divieto di controllare  la sola prestazione lavorativa dei dipendenti, posto che l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo può essere giustificato “esclusivamente” a determinati fini, che sono numerus clausus, (cioè per esigenze organizzative e produttive; per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale) e alle condizioni normativamente indicate, sicché residua un regime protezionistico diretto a salvaguardare la dignità e  la riservatezza dei lavoratori, la cui tutela rimane primaria nell’assetto ordinamentale e costituzionale, seppur bilanciabile sotto il profilo degli interessi giuridicamente rilevanti con le esigenze produttive ed organizzative o della sicurezza sul lavoro“.

Gli Ermellini hanno specificato che tale condotta non costituiva un legittimo esercizio di chi intende tutelare il patrimonio aziendale, giudicando al contrario lesive le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro lesive della dignità e della riservatezza del lavoratore”.

In conclusione la Suprema Corte ha ribadito il rispetto all’applicazione di alcuni fondamentali principi in materia di privacy, già valorizzati dal Garante per la protezione dei dati personali dalle Linee Guida per l’utilizzo della posta elettronica e di internet del 2007 (quali pertinenza, correttezza, non eccedenza del trattamento, divieto di profilazione), utili a tutelare il lavoratore da una potenziale sorveglianza massiva e totale.

Dottssa Eva Simola

Pubblicato da evasimola

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