I reati culturalmente orientati: art. 51 cp

   Per reati culturalmente orientati si intendono quei fatti che costituiscono reato nell’ordinamento italiano ma al contempo sono espressione di principi, valori e consuetudini riconosciute dal gruppo etnico dall’ordinamento cui appartiene l’ agente: ad esempio un uomo islamico è stato condannato per omicidio tentato a danno della figlia che aveva intrattenuto rapporti intimi prima del matrimonio con un uomo di religione diversa, l’uomo aveva agito al fine di tutelare l’onore della figlia in seguito alla violazione del precetto religioso di non congiungersi carnalmente con persone di fede diversa e fuori da un regolare matrimonio (Cass. N. 51059/2013).

    Il tema dei reati culturalmente orientati solleva la questione della possibile applicazione scriminante dell’articolo 51 cp laddove un cittadino straniero compie nel territorio italiano un’attività astrattamente configurabile come reato per il nostro ordinamento e tuttavia questa è autorizzata o addirittura imposta nello Stato di provenienza.

     Art. 51. Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere.

    L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità.

   Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale [c.p. 357] che ha dato l’ordine.

   Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo.

    Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine

 

    Il dibattito dottrinale vede distinte quattro posizioni:

  • sul primo fronte si riconosce la non punibilità mediante l’individuazione di una consuetudine scriminante. Purtuttavia appare difficilmente compatibile questa teoria con il principio di gerarchia delle fonti, atteso che la consuetudine può aver efficacia scriminante solo in quanto sia stata richiamata da una legge ai sensi dell’articolo 8 disp. Prel. cc. Il giudice di legittimità ha escluso che la tradizione culturale del popolo di etnie Rom per il quale “l’accattonaggio assume il valore di un vero e proprio sistema di vita” possa essere qualificata “causa di giustificazione dell’esercizio del diritto per il richiamo alle consuetudini delle popolazioni zingare atteso che la consuetudine può aver efficacia scriminante solo in quanto sia richiamata da una legge secondo il principio di gerarchia delle fonti di cui all’art 8 disp. Prel. Cc”. (  37638/2012) pertanto è stato riconosciuto il reato di maltrattamenti in famiglia.
  • Secondo altra soluzione la non punibilità della condotta potrebbe trovare fondamento nella scriminante putativa dell’esercizio del diritto attraverso la valorizzazione dell’erronea convinzione dell’autore del fatto di agire in presenza di una condizione che gli consenta di porre in essere la condotta;
  • Ulteriormente si osserva che poiché nella maggior parte dei casi le condotte delittuose sono poste in essere con il consenso della vittima si ritiene operante la causa di giustificazione prevista dall’articolo 50 cp. A questa posizione si obietta che l’utilizzo delle scriminanti viene paralizzata dal rango primario riconosciuto dall’ordinamento giuridico ai beni giuridici offesi la cui lesione, in alcun modo, può essere autorizzata o giustificata dall’ordinamento.
  • Infine per altra tesi, la soluzione della non punibilità andrebbe individuata sull’impossibilità da parte del soggetto di conoscere, precedentemente al fatto, la portata del precetto contenuto nella legge italiana. Si obietta che l’articolo 5 cp, come interpretato dalla Corte costituzionale (sent. n 364/88) riguarda per lo più i reati artificiali la cui offensività non è immediatamente percepibile laddove non si abbia conoscenza della previsione incriminatrice mentre i reati culturalmente orientati integrano ipotesi di reati naturali ossia illeciti la cui portata lesiva può essere immediatamente percepita da chiunque.

    A fronte di alcune aperture individuate in dottrina la giurisprudenza si è mostrata granitica nel negare spazio a soluzioni assolutorie nei confronti degli autori dei reati culturalmente orientate, il giudice pertanto non può escludere l’elemento soggettivo del reato invocando le convinzioni religiose o il retaggio culturale dell’imputato perché “tale interpretazione finirebbe con il porsi in contrasto con le norme cardine che informano e stanno alla base dell’ordinamento giuridico italiano e della regolamentazione concreta dei rapporti interpersonali” (Cass 46300/2008). Ne consegue che il giudice condannando l’imputato può tener conto della diversità culturale in sede di commisurazione in concreto della pena assicurandole in tal modo la sua personalizzazione ed adeguatezza.

   Detto altrimenti esiste il limite invalicabile rappresentato dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica ospitante in quanto l’art. 19 costituzione incontra il limite della pacifica convivenza e sicurezza e anche la giurisprudenza convenzionale (art. 9 cedu) riconosce la legittimità delle limitazioni imposte a tutela dei diritti e delle libertà altrui (Corte Cass.. N. 24084/2017).

   Si segnala infine un filone giurisprudenziale ormai consolidato che conferisce rilievo alla cultura d’origine del soggetto autore del reato al fine di escludere la sussistenza della circostanza aggravante dell’aver agito per motivi abietti o futili di cui all’art. 61 n. 1 cp (Cass. N. 51059/2013).

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Pubblicato da evasimola

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