Reati culturali: art. 133 cp

 

  Uno dei problemi che incontra una società multiculturale è quello relativo alla punibilità dei reati culturalmente orientati, cioè di quei reati che vengono commessi dai membri di gruppi etnici di immigrati e“giustificati” dalla cultura di appartenenza.

    Rientrano nei casi di reati cd culturali: il porto del pugnale rituale “Kirpan”, i maltrattamenti in famiglia, la violenza sessuale in danno del coniuge, le condotte delittuose poste in essere con finalità di vendetta dell’onore maschile o familiare ispirate a tradizioni ataviche, mutilazioni o deformazioni rituali di vario tipo.

    La diversità culturale, può assumere rilievo penale riconoscendo a tali fatti o l’applicazione della scriminante dell’esercizio del diritto ai sensi dell’articolo 51 cp e/o il difetto del dolo per mancanza nell’autore del reato della consapevolezza del disvalore del fatto, ovvero (come ritiene la giurisprudenza maggioritaria) la semplice applicazione dell’art 133.cp secondo il quale nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:

1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;

2. dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato [c.p. 626];

3. dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:

1. dai motivi a delinquere e dal carattere [c.p.p. 220] del reo”.

 Come infatti ha osservato la cassazione penale (n. 46300/2008) in tema di maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli “ il giudice non può sottrarsi al suo compito di rendere imparziale giustizia applicando le norme vigenti, non potendosi ammettere qualsivoglia soluzione interpretativa che pretenda di escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, invocando le convinzioni religiose e il retaggio culturale dell’imputato, perché tale interpretazione finirebbe con il porsi in contrasto con le norme del nostro ordinamento”.

   Più recentemente la cassazione ha affermato che occorre effettuare un attento bilanciamento tra diversi interessi confliggenti prima di ritenere del tutto irrilevante il fattore culturale. La teoria dello sbarramento culturale, secondo cui nessun sistema penale può abdicare in ragione di tradizioni culturali, sociali, religiose dello straniero che colpiscano beni di primaria importanza dotati di copertura costituzionale, deve essere calibrata tenendo conto della peculiarità dei casi concreti. Il che significa che il giudice deve porre in essere un’accurata valutazione che si snoda nei seguenti passaggi:

  • attenta ponderazione del bene giuridico offeso, del grado di offesa che il fatto concreto arreca a quel bene;
  • valutare la natura della norma che lo straniero invoca (se cioè la stessa sia di matrice culturale o solo religiosa o piuttosto giuridica).
  • Il tasso di integrazione dello straniero nel nostro ordinamento essendo la credibilità di una difesa culturale inversamente proporzionale al grado di integrazione raggiunto.

 In conclusione si deve ritenere che in presenza della commissione di un reato culturalmente orientato il giudice valuterà in concreto la sanzione ai sensi dell’articolo 133 cp.

(immagine presa dal web)

Pubblicato da evasimola

Il blog è diretto dalla dottoressa Eva Simola presidente dell'Associazione "Legalità Sardegna" [email protected] codice fiscale 91027470920 Cellulare +393772787190