Divisione della casa coniugale gravata da un provvedimento di assegnazione

     

 

 

       La questione sottoposta all’esame delle Sezioni unite della Cassazione – con ordinanza interlocutoria n. 28871/2021 della Seconda Sezione – si può compendiare nei seguenti termini: “se – in sede di divisione di un immobile in comproprietà di due coniugi legalmente separati già destinato a residenza familiare e, per tale ragione, assegnato, in sede di separazione, al coniuge affidatario della prole – occorra tenere conto della diminuzione del valore commerciale del cespite conseguente alla presenza sul medesimo del diritto di godimento del coniuge a cui è stata affidata la prole, pure nel caso in cui la divisione si realizzi mediante attribuzione a quest’ultimo della proprietà dell’intero immobile con conguaglio in favore del comproprietario e, quindi, determinandolo non in rapporto al valore venale dello stesso immobile, bensì in misura ridotta che tenga conto dell’incidenza della permanenza di tale vincolo, opponibile anche ai terzi“.

   Sulla questione controversa si sono formati infatti due differenti indirizzi interpretativi sia all’interno della giurisprudenza della Suprema Corte sia all’interno della dottrina. Più in particolare,  per quanto attiene alla Giurisprudenza si è posto in evidenza che :

  • alla stregua di un primo orientamento l’assegnazione del godimento della casa familiare in sede di separazione personale o divorzio dei coniugi non dovrebbe essere considerata al fine della determinazione del valore di mercato del bene in sede di divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi e ciò anche quando il bene venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento sullo stesso, atteso che un tale diritto è attribuito nell’esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario sicché, decurtandone il valore dalla stima del cespite, si realizzerebbe un’indebita locupletazione a favore del medesimo coniuge affidatario, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale (cfr. Cass. Sez. I, n. 11630/2001, Cass., Sez. II, n. 27128/2014, Cass., Sez. II, n. 17843/2016 e, da ultimo, Cass., Sez. II, n. 33069/2018). Da quanto premesso non consegue, secondo questo orientamento, una locupletazione a favore del coniuge destinatario del conguaglio, atteso che l’assegnazione della casa familiare è strumentale, in via esclusiva, a preservare i figli dall’esito prevedibile della crisi coniugale costituito dai traumi da cambiamento di abitudini e radicamento ambientale che li interessano. Di contro nel caso in cui l’intero immobile, all’esito della divisione, venisse attribuito per l’intero allo stesso coniuge affidatario, il diritto di godimento di quel cespite non potrebbe che venire meno per confusione, cosicché nessun deprezzamento verrebbe sofferto dall’assegnatario divenuto proprietario esclusivo in conseguenza dello scioglimento della comunione sull’immobile destinato a casa familiare.
  • In virtù, invece, di una contrapposta posizione (cfr. sentenze n. 20319/2004 e n. 8202/2016), è stato sostenuto che l’esistenza del vincolo derivante dall’assegnazione della casa coniugale e la sua opponibilità ai terzi determinerebbe una oggettiva contrazione del valore della proprietà, che si riflette sulla situazione dominicale del coniuge assegnatario e dei suoi aventi causa, fino a che detto provvedimento non sia modificato, con la conseguenza che nel giudizio di divisione si dovrebbe tener conto della portata di detto provvedimento in termini di incidenza sul valore del bene (anche, dunque, ai fini dei conguagli), e ciò indipendentemente dal fatto che il bene sia attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge ovvero venduto a terzi. Pertanto, nel giudizio di divisione occorrerebbe tener conto dell’incidenza dell’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro, ovvero venduto a terzi considerato che anche l’assegnatario subisce la diminuzione patrimoniale del valore del cespite. In tal modo, secondo il ragionamento di questa parte della giurisprudenza, il coniuge assegnatario si troverebbe dal punto di vista patrimoniale nella medesima situazione del coniuge non assegnatario o del terzo, finché il provvedimento di assegnazione non viene modificato e/o revocato.

     Per quanto attiene invece alla dottrina si è da parte dei prevalenti orientamenti teorici sostenuto – sul presupposto che il diritto di godimento sul cespite che l’assegnatario vanta in funzione della tutela della prole viene meno in quanto riassorbito in quello dominicale pieno e che la questione del valore economico del cespite in sede di liquidazione della quota spettante al comproprietario non assegnatario si compone nei rapporti tra i due coniugi e l’immobile – che, l’eventuale assegnazione al coniuge del cespite in comproprietà incide sul valore venale dell’immobile solo allorché il bene sia venduto ad un terzo o attribuito al coniuge non assegnatario. Nel caso opposto di coincidenza tra attribuzione in sede di divisione e assegnazione il diritto dominicale riassorbe in sé quello atipico di godimento. Nel senso della non incidenza dell’assegnazione sulla valutazione del cespite si è, in particolare, sottolineato che mentre non è dubitabile che l’assegnazione possa influire sulla valutazione venale dell’immobile rispetto al coniuge non assegnatario, il quale vede compromesso il pieno esercizio delle facoltà dominicali come per il terzo che possa vantare sul cespite un diritto godimento, la situazione giuridica del coniuge assegnatario è ben diversa giacché costui non è il destinatario del vincolo, ma colui che ne beneficia e pertanto, allorché il bene gli sia attribuito per intero in sede divisionale, nulla impedisce che egli possa disporre del bene a valore pieno.

   Secondo un diverso indirizzo dogmatico il godimento abitativo accordato dall’assegnazione non sfumerebbe a seguito del conseguimento nel corso del giudizio di divisione dell’intera titolarità del bene assegnato, conservando, per contro, i suoi effetti fino a quando l’unità immobiliare resta asservita alla tutela dei figli e dell’habitat domestico. Detto orientamento afferma, altresì, che l’esistenza (fino a quando non sia revocato) del provvedimento di assegnazione dell’immobile quale casa coniugale, trascritto, si impone all’acquirente (avente causa del coniuge cui è stata assegnata in sede divisionale la proprietà dell’unità immobiliare familiare), di modo che il corrispettivo non potrebbe non risentire di questa limitazione. Per di più, anche se l’assegnatario riuscisse a spuntare un prezzo migliore nella previsione – non deducibile in una formale condizione e slegata da ogni automatismo – di far venir meno il proprio godimento per reintegrare così nella sua pienezza il diritto di proprietà dell’acquirente (ad esempio, cessando di abitare stabilmente nella casa familiare, iniziando una convivenza more uxorio ovvero contraendo un nuovo vincolo matrimoniale), tale eccedenza non costituirebbe una mera plusvalenza, poiché andrebbe a dare copertura economica ai rischi cui espone la decisione potestativa di estinguere il diritto (di godimento) di abitazione, derivanti dalla ridefinizione dei rapporti economici e dei provvedimenti attinenti i figli.

    Altro indirizzo scientifico, argomentando dal nuovo testo dell’art. 568, comma 2, c.p.c., che fissa i criteri di determinazione del valore del bene immobile in sede di esecuzione forzata, ove vanno considerati lo stato di possesso nonché i vincoli ed oneri giuridici non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo,  sostiene che l’assegnazione incide, comunque, sul valore economico del cespite. Un ulteriore elemento di conforto di quest’ultima conclusione è stato rinvenuto nel disposto del comma 2 dell’art. 540 c.c., che riconosce al coniuge superstite il diritto di abitazione sulla casa familiare facendo residuare, in capo agli altri eventuali coeredi, la comunione avente ad oggetto la sola nuda proprietà del bene. A tal proposito si osserva, convenendosi sul fatto che il valore capitale di tale situazione giuridica soggettiva vada stralciata dall’asse ereditario prima di procedere alla divisione ereditaria, che non si comprenderebbe perché analogo rilievo economico non debba valere anche per il godimento riconosciuto con il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, al di là della non decisiva differenza legata alla sua natura personale.

   La risoluzione del contrasto e gli argomenti posti a suo fondamento.

  Per le Sezioni unite deve essere “condiviso l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nel caso in cui lo scioglimento della comunione immobiliare si attui mediante attribuzione dell’intero al coniuge affidatario della prole, il valore dell’immobile oggetto di divisione non può risentire del diritto di godimento già assegnato allo stesso a titolo di casa coniugale, poiché esso viene ad essere assorbito o a confondersi con la proprietà attribuitagli per intero, con la conseguenza che, ai fini della determinazione del conguaglio in favore dell’altro coniuge, bisognerà porre riferimento, in proporzione alla quota di cui era comproprietario, al valore venale dell’immobile attribuito in proprietà esclusiva all’altro coniuge, risultando, a tal fine, irrilevante la circostanza che nell’immobile stesso continuino a vivere i figli minori o non ancora autosufficienti rimasti affidati allo stesso coniuge divenutone proprietario esclusivo, in quanto il relativo aspetto continua a rientrare nell’ambito dei complessivi e reciproci obblighi di mantenimento della prole da regolamentare nella sede propria, con la eventuale modificazione in proposito dell’assegno di mantenimento. In primo luogo, deve ritenersi incontestabile la sussistenza di una completa autonomia tra l’istituto dell’assegnazione della casa coniugale e quello della divisione dell’immobile adibito a tale destinazione conseguente allo scioglimento della comunione. Infatti, è indubbio che il citato provvedimento di assegnazione trova fondamento in presupposti del tutto autonomi dal titolo dominicale che lega i coniugi all’immobile adibito a casa familiare e che, in virtù della sua riconosciuta opponibilità per effetto della trascrizione (già prevista dall’art. 155-quater c.c. e ora dal vigente art. 337-sexies, comma 1, c.c.), il relativo vincolo continua ad insistere sul bene anche qualora quest’ultimo venga alienato a terzi. È, altresì, pacifico che non si intravedono ragioni che possano giustificare il mancato accoglimento della domanda di divisione che abbia ad oggetto anche la casa coniugale gravata da un provvedimento di assegnazione. In base, quindi, alla disciplina generale in tema di scioglimento della comunione immobiliare, ove trattasi di immobile non divisibile (art. 720 c.c.) e si proceda all’attribuzione dell’intero bene a uno dei comproprietari, scatta – quale applicazione della relativa regola generale – il conseguente obbligo di corresponsione a favore dell’altro della quota di conguaglio. In tal caso, ovvero qualora il bene venga attribuito in proprietà esclusiva al coniuge che già ne godeva come casa coniugale, verrà a prodursi l’effetto della concentrazione in capo allo stesso coniuge di tale diritto di godimento e del diritto dominicale sull’intero immobile, che permane privo di vincoli, con la conseguenza che il primo, già derivante dal provvedimento di assegnazione giudiziale, risulterà assorbito dall’acquisito diritto in proprietà esclusiva dell’immobile stesso, il quale, perciò, ne determinerà l’estinzione (secondo parte della dottrina si tratterebbe di una forma assimilabile a quella di un’estinzione per confusione). In ragione di ciò, in sede di valutazione economica del bene “casa familiare” ai fini della divisione, il diritto di godimento di esso conseguente al procedimento di assegnazione non potrà avere alcuna incidenza sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge, in quanto lo stesso – come già rimarcato – si atteggia come un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale) che viene a caducarsi con l’assegnazione della casa familiare in proprietàesclusiva al coniuge affidatario dei figli, divenendo, in tal caso, la sua persistenza priva di una base logico-giuridica giustificativa, anche in virtù dell’applicazione del principio generale secondo cui nemini res sua servit. A tal proposito si è precisato che il citato diritto non costituisce un diritto patrimoniale, bensì esclusivamente un diritto familiare a carattere non patrimoniale, che, perciò, incontra il suo naturale limite nella cessazione della sua efficacia nel momento della divisione del bene “casa familiare”, per effetto della quale nella quota di proprietà del coniuge attributario – già titolare di tale diritto – confluisce e si annulla lo stesso diritto di godimento esclusivo. A ciò deve aggiungersi – come rilevato dal pregresso orientamento giurisprudenziale che si condivide (v. le citate Cass. n. 27128/2014, n. 17843/2016 e n. 33069/2018) – che, ove si operasse la decurtazione del valore in considerazione del già riconosciuto diritto di godimento della “casa familiare”, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustamente penalizzato con la corresponsione di una somma che non sarebbe rispondente alla metà (nell’ipotesi di antecedente comproprietà al 50%) dell’effettivo valore venale del bene. Ciò trova conforto anche nella considerazione che, qualora intendesse rivenderlo a terzi, l’assegnatario della proprietà esclusiva (che decidesse di trasferire altrove la residenza comune con i figli, così rendendo l’immobile libero) potrebbe ricavare l’intero prezzo del mercato, pari al valore venale del bene, senza alcuna diminuzione. Va, quindi, affermato che l’attribuzione dell’immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva dell’assegnatario in sede di divisione configura una causa automatica di estinzione (così si esprime testualmente la menzionata Cass. n. 33068/2018) del diritto di godimento con tale destinazione, che comporta il conferimento allo stesso immobile di un valore economico pieno corrispondente a quello venale di mercato. Pertanto, così come avviene per le altre ipotesi in cui l’estinzione del diritto di abitazione dipende da un fatto giuridico (ad es. la morte del destinatario del provvedimento di assegnazione), anche in tale ipotesi la segnalazione pubblicitaria destinata a certificare l’avvenuta estinzione del vincolo ben potrà essere eseguita sulla scorta di un atto ricognitivo del già titolare del diritto di godimento, divenuto poi esclusivo proprietario dell’immobile (non ritenendosi necessaria in proposito una pronuncia giudiziale, la quale, in ogni caso, non potrebbe che sostanziarsi in una sentenza di accertamento del venir meno degli effetti della trascrizione conseguente alla cessazione del vincolo). In definitiva, l’immobile attribuito in proprietà esclusiva al coniuge già assegnatario quale casa coniugale non può considerarsi decurtato di alcuna utilità, posto che la qualità di titolare del diritto dominicale e quella di titolare del diritto di godimento vengono a coincidere. Non si configura, in altri termini, alcun diritto altrui che limiti le facoltà di godimento del coniuge attributario dell’intero – e già assegnatario in quanto affidatario della prole – e sia, perciò, idoneo a comportare la diminuzione del valore di mercato del bene. Appurata in tale ipotesi l’insussistenza di un’incidenza sul valore venale del bene, non si può escludere – pur rimanendo tale aspetto attinente al solo profilo strettamente familiare – che il coniuge, divenuto titolare della proprietà esclusiva sull’intero bene all’esito delle operazioni divisionali, possa eventualmente chiedere l’adeguamento del contributo di mantenimento dei figli all’altro coniuge-genitore, in quanto nella determinazione del relativo assegno, pur venendo meno la componente inerente l’assegnazione della casa familiare, il genitore, non residente con i figli o non affidatario, rimane obbligato a soddisfare pro quota il diritto dei figli (minori o ancora non autosufficienti) a poter usufruire di un’adeguata abitazione (v. Cass., Sez. I, n. 16739/2020). Infatti, tale obbligo di mantenimento dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti da parte del genitore non residente con essi deve continuare a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese anche al nuovo assetto abitativo (oltre a quelli, persistenti, di carattere scolastico, sportivo, sanitario e sociale), alla perdurante assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia di modo che si possa conservare, il più possibile, il tenore di vita corrispondente a quello goduto in precedenza. Peraltro, non può nemmeno escludersi che, a seguito dell’estinzione del vincolo di destinazione a casa familiare (derivante dagli effetti della divisione), si possa convenire tra i coniugi separati (o divorziati), in sede di revisione dei provvedimenti afferenti agli assetti familiari, un affidamento dei figli al coniuge non attributario, all’esito della divisione, dell’immobile già avente detta destinazione, con una correlata nuova regolamentazione della contribuzione per i figli (fino al raggiungimento della loro autosufficienza), in ipotesi anche con esonero dall’assolvimento di tale obbligo per effetto dell’accordo tra gli stessi (ex) coniugi. Pertanto, riconoscere al coniuge attributario dell’immobile per intero una decurtazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge già comproprietario, in virtù del diritto di godimento già riconosciutogli con l’assegnazione, costituirebbe un suo ingiustificato arricchimento, in quanto egli si troverebbe – come più volte posto in risalto – ad essere titolare di un bene non gravato da alcun diritto altrui, in virtù della produzione del suddetto effetto estintivo. Di contro, nell’ipotesi in cui la comunione immobiliare venga sciolta a seguito della divisione giudiziale con l’attribuzione dell’immobile in proprietà esclusiva a favore del coniuge non assegnatario dello stesso quale casa coniugale (e non affidatario della prole), quest’ultimo si troverà in una situazione comparabile a quella del terzo acquirente dell’intero (a seguito di aggiudicazione in esito al procedimento divisionale, con le relative valutazioni del caso ad opera dell’ausiliario tecnico del giudice), ovvero diventerà titolare di un diritto di proprietà il cui valore dovrà essere decurtato dalla limitazione delle facoltà di godimento da correlare all’assegnazione dell’immobile al coniuge affidatario della prole, permanendo il relativo vincolo sullo stesso con i relativi effetti pregiudizievoli derivanti anche dalla sua trascrizione ed opponibilità ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c. . Da quanto appena posto in risalto deriva, quindi, una soluzione differenziata del valore dell’immobile, a seconda che il medesimo sia assegnato in proprietà esclusiva al coniuge che (per essere residente con i figli o affidatario degli stessi) aveva su di esso il diritto di cui al citato art. 337-sexies, comma 1, c.c. (già art. 115-quater c.c.) ovvero, in alternativa, sia trasferito in proprietà per l’intero all’altro coniuge, o venduto ad un terzo, posto che, in questi due ultimi casi, il diritto di godimento in capo all’altro coniuge continua a sussistere. 10. Conclusione. In definitiva, alla stregua di tutte le argomentazioni complessivamente compiute e risultando il decisum al quale è pervenuta la Corte di appello di Roma nell’impugnata sentenza conforme alla soluzione scelta da queste Sezioni unite per dirimere il contrasto sulla questione, il ricorso dell’Albani deve essere respinto. In dipendenza, per l’appunto, del contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte sulla questione trattata e della complessità dei relativi aspetti giuridici dalla stessa involti, sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto” (Civile Sent. Sez. U Num. 18641 Anno 2022).

   In estrema sintesi le Sezioni Unite, pronunciando su questioni di massima e di particolare importanza, hanno affermato che, in sede di divisione di un immobile in comproprietà di due coniugi legalmente separati, già adibito a casa familiare, l’attribuzione del cespite in proprietà esclusiva al coniuge assegnatario configura una causa automatica di estinzione del diritto di godimento di cui quest’ultimo è titolare, che, pertanto, non potrà avere alcuna incidenza sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge comproprietario dell’immobile, cui va conferito un valore economico pieno e corrispondente a quello venale di mercato.

 

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