La natura giuridica del diritto di assegnazione della casa coniugale.

    La tesi che risulta essere quella più accreditata (da ultimo Cass. Su 18641/2022) ricostruisce il diritto di assegnazione della casa coniugale come diritto di godimento sui generis, ossia originato dal provvedimento di assegnazione e non definibile come diritto reale o semplice vincolo di destinazione (v. Cass., Sez. I, n. 772/2018, che lo considera estraneo alla categoria degli obblighi di mantenimento e collegato all’interesse superiore dei figli a conservare il proprio habitat domestico).

  Per quanto riguarda il regime della trascrizione, come è noto, già dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, l’assegnazione della casa nel giudizio di separazione personale era prevista dall’art. 155-quater, comma 4, c.c. con riferimento al coniuge a cui i figli venivano affidati, e regolata in funzione all’interesse morale e materiale degli stessi. È stata, poi, la Corte costituzionale, la citata sentenza n. 454 del 1989, a dichiararne l’illegittimità costituzionale nella parte in cui, al citato comma, non si prevedeva la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione dell’abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini dell’opponibilità ai terzi. In effetti, l’art. 6, comma 6, della legge n. 898/1970, opportunamente emendato con la legge n. 74/1987, aveva già previsto che l’assegnazione, in quanto trascritta, fosse opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c. In tal modo, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, deve considerarsi opponibile, anche se non trascritto, al terzo acquirente in data successiva, per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero, previa trascrizione in data antecedente al titolo, anche oltre i nove anni (Cass. SU n. 11096/2002). La mancata trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare esclude, quindi, l’opponibilità del vincolo, oltre il periodo di nove anni non ufficiale dall’assegnazione, al terzo che abbia successivamente acquistato l’immobile dal coniuge che ne era proprietario, senza che assuma alcun rilievo la circostanza che il titolo di acquisto del terzo contenga l’indicazione specifica dell’esistenza del diritto del coniuge assegnatario.

    Il quadro normativo, secondo lo statuto temporale allora vigente, è stato poi integrato da quello sull’affido condiviso di cui al d.lgs. n. 54 del 2006. Il citato art. 155-quater c.c., prima di essere quasi del tutto riprodotto nel contenuto dell’art. 337-sexies c.c. in esito al citato d.lgs. n. 154 del 2013, prevedeva già che il provvedimento di assegnazione e quello di revoca fossero trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643 c.c.  Tale previsione è stata, poi, da ultimo traslata proprio nel primo comma del citato art. 337- sexies c.c. (inserito – come detto- dall’art. 55, comma 1, del d. Igs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014), attualmente vigente. “Può dirsi, perciò, superata – in consonanza con la dottrina e la giurisprudenza assolutamente maggioritarie – la diatriba sul carattere assoluto, reale o personale di tale diritto sulla casa coniugale. Infatti, tenendo conto che l’assegnazione della casa familiare costituisce, di norma, la manifestazione di un interesse alla tutela e alla protezione dei figli minori o non autosufficienti a non essere sradicati dall’abituale habitat domestico, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ritiene preferibile, nella ricostruzione giuridica del vincolo di destinazione conseguente all’assegnazione della casa familiare, l’enucleazione di una posizione riconducibile a quella di una detenzione qualificata giustificata, di regola, dalle priorità familiari di conservazione delle abitudini domestiche in favore della prole, ossia a quella di un diritto di godimento personale atipico. Per vero, la questione non si atteggia come fine a se stessa perché influenza quella della trascrivibilità del provvedimento e dell’opponibilità ai terzi acquirenti, ossia quella della stabilità del provvedimento rispetto alle pretese dei terzi. Come è risaputo, la giurisprudenza, in passato, traeva il fondamento della trascrivibilità del provvedimento di assegnazione della casa coniugale nel parallelismo con la locazione ex art. 1599 c.c. e, pertanto, esso risultava opponibile al terzo acquirente anche se non trascritto, per nove anni decorrenti dalla data dell’assegnazione stessa, ovvero anche dopo i nove anni ove il titolo fosse stato in precedenza trascritto di modo che ogni conflitto traesse il suo criterio di risoluzione dall’art. 1599 c.c. Con la riforma di cui alla novella n. 54 del 2006, l’assegnazione della casa coniugale, in caso di separazione, ha creato – come ritenuto preferibile – in capo all’assegnatario un atipico diritto personale di godimento, trascrivibile e opponibile a terzi ai sensi dell’articolo 2643 c.c., rimanendo così reciso ogni richiamo all’art. 1599 c.c., mentre l’assegnazione regolarmente trascritta trova il suo complemento nel principio di priorità di cui all’art. 2644 c.c. Ne deriva che, secondo detto principio, il provvedimento di assegnazione che sia stato trascritto posteriormente all’iscrizione di ipoteca da parte del terzo acquirente non sarà a lui opponibile e, specularmente, lo sarà quello trascritto prima del titolo su cui si fonda la garanzia reale, secondo il principio prior in tempore, potior in iure, il tutto nel solco della possibile revoca dell’assegnazione, anch’essa trascrivibile a mente dello stesso art. 337-sexies c.c. (cfr. Cass., Sez. III, n. 9990/2019). Come appena precisato, il diritto di godimento della casa familiare in capo al genitore affidatario è destinato a venire meno qualora egli cessi di abitare stabilmente nel cespite, ovvero conviva o contragga nuovo matrimonio, oltre, naturalmente, nei casi di raggiungimento dell’autonomia da parte dei figli affidati (Cass., Sez. VI-1, n. 3015/2018). Nelle ipotesi elencate dell’estinzione del diritto di godimento in capo al coniuge assegnatario è escluso che possa essere annoverata anche la morte di costui (Cass. n. 772/2018, cit.), stante il fondamento della norma che è funzionale esclusivamente alla protezione dei figli, dei loro affetti, interessi e consuetudini di vita, indispensabili ad una formazione armonica della loro personalità”. La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito chela possibile revoca dell’assegnazione nei casi previsti dall’art. 337-sexies c.c. sopra citato, ovvero per la raggiunta autonomia dei figli conviventi con l’assegnatario, non è azionabile dal terzo acquirente, il quale avrà a sua disposizione un’azione di accertamento preordinata alla liberazione del cespite (Cass., Sez. I, n. 15367/2015), cui potrebbe conseguire il pagamento dell’indennità per illegittima occupazione previa declaratoria di inefficacia del titolo, con decorrenza dalla data di deposito della sentenza di accertamento. A queste conclusioni è necessario pervenire perché ogni evento che incida sul regime di separazione, divorzio ed affidamento della prole non determina i suoi effetti in via automatica, ma impone l’intervento giudiziale di modificazione e revisione, con conseguente rivalutazione delle esigenze sottese al provvedimento originario” (Cass. Su 18641/2022)

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