Diritto d’autore (copyright)

     La Corte di Cassazione (ord. 4038/2022) ha definito il contenzioso tra l’Archivio Mario Schifano e la Fondazione M.S. Multistudio stabilendo che la riproduzione delle immagini delle opere dell’artista, pubblicate nello “Studio metodologico riguardante la catalogazione informatica dei dati relativi alle opere di Mario Schifano presenti presso la Fondazione” edito dalla Fondazione M.S. (seppur gratuitamente),  costituisce una violazione dall’art. 70 Lda,

     I fatti

     Nel 1988, a seguito della scomparsa del pittore Mario Schifano, è stata costituita l’omonima Fondazione, alla quale è stato conferito il compito di conservare e tutelare l’opera del defunto artista; detto ente ha costituito, nel tempo, un importante archivio delle opere dell’autore. Nel 2003 Monica De Bei, già compagna del maestro, ha lasciato la Fondazione e ha costituito l’ente denominato Archivio Mario Schifano. In seguito, gli eredi dell’artista hanno incardinato diversi procedimenti giudiziari nei confronti della nominata Fondazione in esito ai quali è stato accertato che questa potesse rilasciare degli expertise relativamente all’opere attribuite al maestro ma non potesse né usare il nome di questo nella propria denominazione, né presentarsi come unico soggetto autorizzato a certificare l’autenticità delle opere attribuite allo stesso Schifano.

     La Fondazione, oggi denominata Fondazione M.S. Multistudio, ha pubblicato, nel 2008, insieme all’Università degli Studi di Genova, un’opera in sei volumi denominata “Studio metodologico”: opera avente ad oggetto la catalogazione informatica dei dati relativi alle opere di Schifano presenti nell’archivio della Fondazione stessa. Gli eredi e l’Archivio Mario Schifano hanno quindi agito in giudizio denunciando la violazione dei diritti d’autore sulle opere riprodotte oltre al perdurante illecito sfruttamento del nome di Mario Schifano e l’usurpazione delle prerogative derivanti dai diritti morali d’autore sulle opere da parte della Fondazione.

    Di conseguenza sono stati evocati in giudizio la Fondazione, l’Università di Genova, oltre che altri soggetti, quali asseriti responsabili delle condotte lamentate.

    Con sentenza pubblicata il 29 aprile 2014 il Tribunale di Milano ha respinto le domande proposte dagli eredi di Mario Schifano.

    In sede di gravame la Corte di appello di Milano, in parziale accoglimento del gravame, ha dichiarato illegittimo l’ulteriore uso, da parte della Fondazione, del nome di Mario Schifano, per il quale è stata pronunciata pure inibitoria, e ha condannato la stessa Fondazione al risarcimento del danno non patrimoniale correlato all’illecito, liquidandolo in euro 20.000,00. In sintesi la Corte di merito ha anzitutto osservato che la pubblicazione dello «Studio metodologico» doveva ritenersi legittima e questo perché in tema di opere figurative, la norma sulle libere utilizzazioni di cui a art. 70 I. aut.  si risolve “ nel divieto di riproduzione per intero dell’opera dell’artista” mentre quanto realizzato dalla Fondazione consisteva in “un’opera informatica e non di critica artistica” la cui finalità di ricerca risultavano essere evidenti attesa la partecipazione alla catalogazione informatica da parte dell’Università di Genova; in particolare, secondo il giudice distrettuale, si trattava di uno studio di catalogazione informatica, non avente la finalità di consentire la fruizione artistica della riproduzione delle opere, attuata con la creazione di copie di piccole dimensioni. La Corte di appello ha inoltre negato che l’opera fosse stata realizzata per attingere finalità lucrative: nell’invio dello studio a gallerie d’arte, case d’asta, librerie d’arte, istituzioni pubbliche non era dato di ravvisare, ad avviso del giudice del gravame, uno sfruttamento economico delle opere; la detta Corte ha sottolineato che si era fatto luogo all’esibizione delle scritture contabili della Fondazione e che era stata acquisita una dichiarazione autenticata del legale rappresentante di questa, in base alla quale non era stata emessa alcuna fattura per la vendita dello «Studio metodologico». Secondo il giudice distrettuale, poi, l’invio dello Studio ad operatori qualificati del mercato dell’arte non giustificava la conclusione che esso fosse stato posto in essere per finalità commerciali, non risultando decisivo, a tale riguardo, che i detti operatori avessero utilizzato la catalogazione «come referente della genuinità delle singole opere dello Schifano ad esse vendute», giacché tale condotta integrava un uso per finalità commerciale imputabile ai terzi, e non ai convenuti. La Corte di appello ha inoltre escluso, con riferimento alla distribuzione in omaggio dello Studio da parte della rete Telemarket ai clienti che acquistavano opere d’arte dalla medesima, che la parte appellata fosse coinvolta nella consegna di copie dello «Studio metodologico» a Telemarket o, comunque, nella distribuzione che questa ne aveva fatto ai propri clienti; ha inoltre negato esistesse la prova che l’uso promozionale dello Studio da parte di Telemarket fosse stato concordato con la Fondazione. La Corte territoriale ha infine rilevato essere comprovato il surrettizio utilizzo, da parte della Fondazione, del nome Mario Schifano, in spregio all’inibitoria emanata nell’ambito di un diverso giudizio trattato avanti al Tribunale e alla Corte di appello di Roma: ciò rendeva necessario, ad avviso della Corte di Milano, la pronuncia di una nuova inibitoria e di una statuizione avente ad oggetto il risarcimento del danno non patrimoniale correlato al reiterato uso del nome posto in essere nell’arco di tempo successivo alla pubblicazione delle sentenze rese nel precedente giudizio.

    Successivamente la sentenza della Corte di appello di Milano, pubblicata il 18 aprile 2017, è stata impugnata per cassazione con un ricorso articolato in quattro motivi.

    Di contro resiste con controricorso la Fondazione M.S. Multistudio proponendo un’impugnazione incidentale basata su due motivi.

 Ragioni della decisione

  1. — Come si è detto il ricorso principale si compone di quattro motivi. Col primo sono denunciate violazione e falsa applicazione dell’art. 70, nonché degli artt. 12, 13, 17 e 18, comma 3, I. aut. (r.d. n. 633/1941). Si contesta che la sentenza abbia applicato allo «Studio Metodologico» e ai cinque volumi allegati allo stesso la norma sulla libera utilizzazione al di fuori dei presupposti di legge, errando, quindi, nel non ritenere violate le facoltà di utilizzazione esclusiva, di riproduzione, pubblicazione in raccolta e di distribuzione delle opere. Col secondo motivo si oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 70 I. aut.. Si sottolinea il rilievo che assumono, per il «fine commerciale» che esclude l’applicazione della disciplina circa la libera utilizzazione, gli usi che dello «Studio Metodologico» e dei cinque volumi avevano potuto fare i soggetti destinatari dei volumi; si rimarca, inoltre, che la Corte d’appello avrebbe mancato di considerare che la destinazione dei volumi a terzi per il fine di un loro uso commerciale pure escludesse la richiamata disciplina. Il terzo mezzo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 70 I. aut. e dell’art. 2055 c.c., in tema di concorso nell’illecito, in relazione al capo della sentenza che ha rigettato le domande dell’appellante nei confronti della Università degli Studi di Genova. Si ricorda che secondo la sentenza impugnata l’opera in sé non aveva alcun fine di critica o di dialettica artistica, risolvendosi in una semplice esemplificazione di una metodica di catalogazione informatica. Col quarto motivo del ricorso principale è denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La censura investe la circostanza per cui cinque dei sei volumi oggetto di causa erano stati realizzati dalla Fondazione dopo che questa aveva commissionato all’Università degli Studi di Genova lo «Studio Metodologico» costituito dal solo primo volume: evenienza, questa, che era stata celata all’istituto accademico. Viene rammentato che detto ente, nel corso del giudizio di appello, aveva sostenuto che la Fondazione avesse usato in maniera impropria lo studio da essa realizzato, avendo autonomamente aggiunto ad esso i cinque volumi allegati, contenenti le immagini delle opere di Schifano. Si rileva che la pubblicazione di oltre 24.000 immagini contenute nello «Studio Metodologico» non aveva alcuna attinenza con un ipotetico studio sulle tecniche di archiviazione ed era quindi priva di scopo scientifico.

    Orbene per la Cassazione i motivi, analizzati congiuntamente, sono fondati.

    Innanzitutto la Cassazione – diversamente da quanto affermato dalla Corte di merito- afferma che la pubblicazione dello «Studio metodologico», col quale erano state riprodotte 24.000 opere figurative di Mario Schifano, non rientra nell’eccezione di citazione di cui all’art. 70 I. aut. in quanto il “tenore letterale della norma rende evidente che è consentita solo la riproduzione parziale delle opere dell’ingegno: ciò implica che le opere dell’arte figurativa possano essere riprodotte solo parzialmente, nei dettagli, e non nella loro integrità. In tal senso, questa Corte ha avuto già modo di precisare che la riproduzione di opere d’arte — inserite, nella specie, nel catalogo di una mostra — allorché sia integrale e non limitata a particolari delle opere medesime, quale che sia la scala adottata nella proporzione rispetto agli originali, non costituisce alcuna delle ipotesi di utilizzazione libera, previste in via di eccezione al regime ordinario dell’esclusiva dall’art. 70 cit. (Cass. 19 dicembre 1996, n. 11343)”.  Si sottolinea poi che l’art. 70 I. aut. è una norma “pacificamente ritenuta di stretta interpretazione perché in deroga alla regola generale che attribuisce all’autore il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera (così Cass. 7 marzo 1997, n. 2089; cfr. pure Cass. 19 dicembre 1996, n. 11343 cit., in motivazione; nel medesimo senso, con riferimento alla disciplina contenuta nella dir. 2001/29/CE: Corte giust. CE 16 luglio 2009, C5/08, Malenovsky, 56; Corte giust. CE 26 ottobre 2006, C-36/05, Commissione /Spagna, 31).

   Ulteriormente la sentenza impugnata davanti alla Cassazione si espone a censura su altri versanti. “Anzitutto la Corte di appello rileva che quanto realizzato dalla Fondazione e dall’Università di Genova integrerebbe uno «studio di catalogazione informatica». Al di là delle incertezze indotte da tale qualificazione, è da osservare che il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico devono essere strumentali agli scopi di critica o discussione dell’utilizzatore. Il punto emerge dalla richiamata disposizione, oltre che dalla corrispondente norma di diritto internazionale, e cioè dall’art. 10 della Convenzione di Unione di Berna, resa esecutiva con I. n. 399 del 1978, secondo cui sono lecite le citazioni tratte da un’opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, «a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo» (paragrafo 1 dell’articolo): condizione, questa, operante anche per l’utilizzazione delle opere letterarie ed artistiche a titolo illustrativo o nell’insegnamento (paragrafo 2 dello stesso articolo). Analogo vincolo funzionale è operante per la riproduzione determinata da esigenze di ricerca scientifica (finalità che si è aggiunta, nella norma nazionale, alle altre, in forza della modifica apportata all’art. 70 dal d.lgs. n. 68/2003, attuativo della dir. 2001/29/CE): detta riproduzione può avvenire a solo scopo illustrativo. Vige, al riguardo, un limite analogo a quello operante per le altre esigenze indicate nell’art. 70, rispetto alle quali questa Corte ha avuto modo di osservare che «la libertà di utilizzazione si giustifica essenzialmente con la circostanza che l’opera di critica, di discussione, di insegnamento ha fini del tutto autonomi e distinti da quelli dell’opera ‘citata’, i cui ‘frammenti’ riprodotti perciò stesso, non creano una neppur potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all’autore» (Cass. 7 marzo 1997, n. 2089, in motivazione). Il nesso di strumentalità di cui all’art. 70, comma 1, I. aut. (così come, in maniera ancora più precisa, il riferimento alla «misura giustificata dallo scopo» di cui all’art. 10 della Convenzione di Berna) impone quindi di verificare se la riproduzione posta in atto, anche per l’estensione che concretamente assume, non sia eccedente rispetto ai fini indicati. Ebbene, la Corte di merito ha omesso alcuna indagine nel senso indicato: a fronte della riproduzione di circa 24.000 esemplari di opere di Mario Schifano si è limitata ad affermare che la finalità di ricerca dello «Studio metodologico» emergeva dalla partecipazione dell’Università di Genova all’attività di catalogazione informatica. La Corte di appello ha inoltre errato nel ritenere che la catalogazione informatica fosse incompatibile con «la fruizione artistica della riproduzione dell’opera, che richiederebbe ben altre dimensioni». Così facendo ha trascurato di considerare che il legittimo sfruttamento che compete all’autore, giusta l’art. 13 I. aut., ricomprende non solo il diritto di operare la moltiplicazione di copie fisicamente identiche all’originale, ma protegge, altresì, l’utilizzazione economica che può effettuare l’autore anche mediante qualunque altro tipo di moltiplicazione dell’opera in grado d’inserirsi nel mercato della riproduzione (Cass. 19 dicembre 1996, n. 11343 cit.): ne discende che anche la riproduzione fotografica, in scala, di opere protette è idonea a porsi in concorrenza con i diritti di sfruttamento che competono al titolare. Quanto fin qui osservato è idoneo a dar ragione della fondatezza del ricorso: gli altri temi sviluppati all’interno di esso restano assorbiti”.

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Pubblicato da evasimola

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