Omissione di referto del medico


art 365 Omissione di referto.

Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’autorità indicata nell’articolo 361 è punito con la multa fino a euro 516.
Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.

 

       Il delitto di cui all’art. 365 c.p. e` un reato proprio, potendo essere commesso solo da coloro che esercitano una professione sanitaria. L’ambito preciso della nozione suddetta si desume dall’art. 99 t.u. leggi sanitarie (r.d. 27.7.1934, n. 1265) nel testo risultante dalle successive modifiche. Sulla base di tale corpus normativo occorre tracciare la fondamentale distinzione tra esercenti una professione sanitaria, soggetti attivi dell’omissione di referto, ed esercenti un’arte sanitaria, estranei invece all’incriminazione di cui all’art. 365 c.p.

Sono esercenti una professione sanitaria principale, tra gli altri, i medici, i chirurghi, i farmacisti, i veterinari, gli odontoiatri e i biologi, mentre esercitano una professione sanitaria ausiliaria, tra gli altri, gli infermieri professionali, le levatrici, le assistenti sanitarie e le ostetriche: alle succitate categorie professionali e` imposto, in esclusiva, l’obbligo di referto sanzionato dalla fattispecie penale in esame. Esercitano al contrario un’arte sanitaria, tra gli altri, gli odontotecnici, gli ottici, i meccanici ortopedici, gli ernisti, i massaggiatori e gli infermieri abilitati o autorizzati.

 La giurisprudenza e la dottrina maggioritaria sostengono che, qualora il soggetto che ometta o ritardi il referto cumuli le qualifiche di professionista sanitario e di p.u. o incaricato di pubblico servizio, trovino applicazione unicamente i delitti di cui agli artt. 361 e 362 c.p. a scapito dell’incriminazione prevista dall’art. 365 c.p (una tesi minoritaria applica invece l’art. 15 cp e quindi l’art. 365).

Ad es: Il medico convenzionato con la ASL  riveste la qualifica di pubblico ufficiale e non quella di incaricato di pubblico servizio “poichè svolge l’attività per mezzo di poteri pubblicistici di certificazione, che si estrinsecano nella diagnosi e nella correlativa prescrizione di esami e prestazioni alla cui erogazione il cittadino ha diritto presso strutture pubbliche ovvero presso strutture private convenzionate” (Cassazione penale, sez. VI, 11/05/2017 n. 29788 ) conseguentemente risponde di omessa denuncia ex art. 361 cp (e non ex art 365 di omesso referto) qualora non denunci un fatto di reato del quale viene a conoscenza nell’esercizio o a causa delle sue funzioni.

Il primo essenziale requisito affinché sorga l’obbligo di referto e` che il professionista sanitario venga a conoscenza della supposta commissione di un delitto perseguibile d’ufficio prestando «la propria assistenza od opera». Tale condizione e` finalizzata a circoscrivere l’obbligo penalmente sanzionato alle sole prestazioni effettuate nel quadro dell’attivita` professionale del sanitario. Secondo l’impostazione tradizionale s’intende per “assistenza” una prestazione professionale di carattere continuativo, mentre “l’opera” si riscontra nei casi di prestazioni professionali singole od occasionali, adottandosi così un criterio temporale d’indubbia linearità e semplicità.

L’obbligo di referto la cui omissione e` penalizzata dall’art. 365 c.p. e` condizionato alla ricorrenza di un secondo fondamentale presupposto: il sanitario deve aver prestato la propria opera od assistenza in «casi che possano presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio». I

L’obbligo del referto sorge nel momento stesso in cui il sanitario, prestando la propria opera, si viene a trovare di fronte a un caso che può presentare i connotati di un delitto perseguibile d’ufficio. Per stabilire se ricorra una tale ipotesi, è necessario fare leva su criteri di valutazione che, sia pure con giudizio ex ante (riferito cioè al momento della prestazione sanitaria), tengano conto della peculiarità del caso concreto, nel senso che deve verificarsi se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere, in termini di teorica possibilità, la configurabilità di un delitto perseguibile d’ufficio. (Cassazione penale sez. VI  29 ottobre 2013 n. 51780).

Integra invece la fattispecie di reato di omessa denuncia la condotta del medico che, venuto a conoscenza in concomitanza o in ragione delle funzioni svolte, di una situazione che presenti gli elementi essenziali di un fatto costituente reato, non la comunichi alle Autorità competente ( Cass  n 8937/15). Quindi si evidenzia una differenza tra teorica possibilità che il medico si trovi davanti ad un delitto (richiesta dall’art. 365 cp) e presenza degli elementi essenziali del fatto di reato (richiesti invece nel reato di omessa denuncia).

 Ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di omissione di referto (art. 365 c.p.), che è reato di pericolo e non di danno, occorre, oltre alla coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto da parte dell’esercente la professione sanitaria, che questi si trovi in presenza di fatti i quali presentino i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio; per verificare la configurabilità di tale reato, e della responsabilità anche civile che ne discende a carico del sanitario, occorre che il giudice accerti con valutazione “ex ante” e tenendo conto delle peculiarità del caso concreto, se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere, in termini di astratta possibilità, di omettere o ritardare il referto, rimanendo esclusa la configurabilità del dolo qualora dalle circostanze del caso concreto cui egli si trovi di fronte emerga la ragionevole probabilità che l’accadimento si sia verificato per cause naturali o accidentali, (Nella specie, 19 Corte suprema ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del sanitario che non aveva sospeso l’autopsia per dare immediata notizia all’autorità giudiziaria, in quanto dalle circostanze di fatto non erano emersi elementi atti a far ritenere che la morte della paziente non fosse dovuta a cause naturali). (Cassazione civile sez. III  26 marzo 2004 n. 6051 ) 

L’atto deve pervenire anche tramite persona di fiducia nel termine di 48 ore ovvero, se c’è pericolo nel ritardo, immediatamente anche telefonicamente (cui seguirà una comunicazione scritta), oltre allo scritto è consentita anche una dichiarazione orale che sarà raccolta a verbale e sottoscritta. Destinatari del referto sono il pubblico ministero e qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui il soggetto ha prestato la propria attività opera con assistenza (in difetto l’atto va fatto pervenire all’ufficiale di polizia giudiziaria più vicina). In caso di pluralità di soggetti obbligati (in quanto hanno prestato la loro assistenza nella medesima circostanza) è possibile redigere e sottoscrivere un unico atto.

L‘obbligo di referto non si prospetta nel caso in cui l’atto esporrebbe l’assistito ad un procedimento penale nonché nel caso di lesioni colpose (art. 590 cp) fatta eccezione per l’ipotesi di lesioni gravi o gravissime o di malattie professionali guaribili in oltre 40 giorni a causa della violazione delle leggi in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene sul lavoro ovvero quando risultino quale conseguenza di altri delitti perseguibili d’ufficio. Quanto al contenuto del referto deve indicare la persona assistita e se possibile le sue generalità nonché il luogo dove si trova e quanto valga ad identificarla. Il luogo, il tempo le circostanze dell’intervento, le circostanze del fatto e i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti prodotti.

 Per capire il perché il referto non si prospetta nel caso in cui l’atto esporrebbe l’assistito ad un procedimento penale si riporta una massima della sez. Vi della cassazione in virtù della quale “Curare un latitante non è reato: nel bilanciare il diritto alla salute e l’interesse pubblico ad un puntuale esercizio dell’attività di amministrazione della giustizia (ed all’accertamento di fatti penalmente sanzionati) prevalgono i valori legati alla integrità fisica; non vi è neppure obbligo di referto se le ferite si sono svipuppate nel corso di una rissa, dato che il referto all’autorità giudiziaria esporrebbe il latitante al rischio di essere incriminato (corte di cassazione, sez. vi penale – sentenza 21 settembre 2015, n. 38281).

La questione dei rapporti tra omissione di referto e favoreggiamento personale invece e` stata risolta elaborando un criterio lineare: sussiste in via esclusiva il delitto di cui all’art. 378 c.p. qualora il sanitario non si limiti ad omettere il referto dovuto, ma tenga una condotta attiva, rivolta a sottrarre il ricercato alla giustizia 133, come ad esempio quella del medico che, dopo aver curato un latitante, ne intesti la cartella clinica a falso nome (Cass. pen., 15-3-1985) ed infatti più recentemente si è affermato che ” in tema di favoreggiamento ascritto ad un soggetto esercente la professione sanitaria, la situazione di illegalità in cui versa il soggetto che necessita di cure non può costituire in nessun caso ostacolo alla tutela della salute. Ne consegue che la condotta del sanitario chiamato ad esercitare il dovere professionale di tutela della salute del cittadino integra gli estremi del favoreggiamento solo nel caso in cui esorbiti il limite della diagnosi e della terapia, ponendo in essere condotte “aggiuntive” di altra natura che travalichino tale limite e siano finalizzate soggettivamente e oggettivamente a far eludere la persona assistita alle investigazioni dell’Autorità o a sottrarla alle ricerche di quest’ultima” ( Cass, sez VI pen 21 settembre 2015, n.38281)

In ultimo si evidenzia che con l’entrata in vigore della L. n. 41 del 2016 sull’omicidio stradale la Federazione Nazionale degli Ordini ha diramato una comunicazione dove ricorda i corretti comportamenti da tenere da parte di tutti i medici (di famiglia, specialisti, di pronto soccorso ecc) che si trovino a formulare prognosi di malattia superiori a 40 giorni derivanti da sinistri stradali, sottolineando che la mancata segnalazione all’Autorità Giudiziaria comporta l’imputazione per il reato di omissione di referto o denuncia. Da sottolineare che i 40 giorni di malattia che fanno scattare l’obbligo di referto o denuncia possono derivare anche da continuazione di malattia precedentemente prognosticata con un termine inferiore.

 

(immagine web)

 

 

Pubblicato da evasimola

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