Rifiuto o omissione di atti d’ufficio

Art. 328 cp.

Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione.

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.

Esempio: Risponde di “omissione di atti di ufficio” e “morte come conseguenza di altro delitto” – e non già di concorso in omicidio – l’agente di polizia giudiziaria che non sedi la lite fatale per uno dei contendenti.( Cass 37312/19)

     Il reato di rifiuto od omissione di atti d’ufficio è un reato proprio in quanto soggetto attivo può essere sia il pubblico ufficiale che l’incaricato di un pubblico servizio. Giova  precisare che il soggetto attivo deve avere competenza a compiere l’atto richiesto pertanto soggetto attivo del reato di omissione di atti d’ufficio è il pubblico ufficiale che ha la responsabilità dell’atto richiesto.

 Il legislatore del 1990 ha inserito nell’art. 328 cp due autonome fattispecie incriminatrici:

  1. il RIFIUTO indebito di ATTI D’UFFICIO: La prima ipotesi (sanzionata più gravemente dal primo comma) contempla la figura del rifiuto indebito di atti d’ufficioche, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo”. Il delitto si perfeziona con la semplice omissione del provvedimento di cui si sollecita la tempestiva adozione incidente su beni di valore primari quali la sicurezza pubblica, l’igiene, la sanità eccetera. In tema di omissione di atti di ufficio, per atto di ufficio che per ragione di giustizia deve essere compiuto senza ritardo si intende solo un ordine o provvedimento autorizzato da una norma giuridica per la pronta attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile, o più agevole l’attività del giudice, del pubblico ministero o degli ufficiali di polizia giudiziaria (Sez. 6, n. 16567 del 26/02/2013, omissis, Rv. 254860; Sez. 6, n. 14599 del 25/01/2010, omissis, Rv. 246655; Sez. 6, n. 11877 del 20/01/2003, omissis, Rv. 224861; Sez. 6, n. 784 del 05/11/1998, dep. 1999, omissis, Rv. 213904) e dunque, ad integrare la fattispecie dell’omissione d’atti d’ufficio di cui all’art. 328, comma primo, cod. pen., non è sufficiente che il rifiuto abbia ad oggetto un qualsiasi atto d’ufficio, ma è necessario che l’atto sia “qualificato” perché compiuto per ragioni di giustizia o sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, nonché che l’atto sia “indifferibile” dovendo lo stesso essere adottato senza ritardo (v. motivazione, Sez. 3, n. 5688 del 13/12/2013, dep. 2014, omissis, Rv. 258694). L’ indifferibilità deve essere accertata in base all’esigenza di garantire il perseguimento dello scopo cui l’atto è preordinato ed agli effetti al medesimo concretamente ricollegabili, con la conseguenza che l’assenza di termini di legge espliciti o la previsione di termini meramente ordinatori non esclude il dovere di compiere l’atto in un ristretto margine temporale quando ciò sia necessario per evitare un sostanziale aumento del rischio per gli interessi tutelati dalla norma incriminatrice (Cass. Pen 54426/18; cass. Pen n. 47531/2012). La persona offesa del reato di rifiuto di atti d’ufficio è la sola pubblica amministrazione in quanto il bene protetto dalla fattispecie è il buon aumento della P.A.   La condotta attiva, per un primo indirizzo giurisprudenziale, consiste nel rifiuto da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio di un atto qualificato che deve essere compiuto senza ritardo e tale rifiuto – sia esso esplicito o implicito –  ha come presupposto logico necessario una richiesta o un ordine. Per cui una mera inerzia, un semplice “non facere” senza qualcosa che esprima la volontà negativa del soggetto agente non possono essere qualificati come rifiuto implicito. La sezione VI della cassazione seguendo questo ragionamento ha escluso la configurabilità del reato in questione con riguardo al comportamento di un responsabile di un’unità operativa di igiene di un ospedale il quale aveva omesso di comunicare a taluni dipendenti di determinati reparti, sottoposti ad accertamenti ematologici, l’esito degli esami, pur essendo stata accertata la loro positivita al virus HCV (Cass.1996). Diversamente un altro indirizzo giurisprudenziale afferma integratala la fattispecie non solo quando vi sia stata una sollecitazione soggettiva concretata in una richiesta o in un ordine e il comportamento del soggetto attivo si ponga come risposta negativa ad essa, (esplicita o implicita) ma anche, indipendentemente da una richiesta o di un ordine, quando sussiste un’urgenza sostanziale, impositiva dell’atto, resa evidente dai fatti oggettivi posti all’attenzione del soggetto obbligato di intervenire, di modo che l’inerzia soggettiva del medesimo assuma la valenza di rifiuto (cass.  1757/2006). La condotta è indebita quando è contraria ai doveri dell agente cosiché il delitto non è integrato qualora l’agente pubblico abbia l’obbligo o anche soltanto la facoltà di rifiutare il compimento dell’atto. Ad avviso della cassazione con riguardo all’ipotesi delittuosa di cui al comma primo dell’articolo 328 il carattere indebito del rifiuto non è ravvisabile quando in presenza di un conflitto di interessi il compimento dell’atto venga ledere diritti costituzionalmente garantiti del soggetto agente. Fattispecie in cui funzionari di polizia avevano rifiutato di ricevere una denuncia sporta a loro carico da un privato; la suprema corte ha rilevato riguardo che la ricezione della denuncia avrebbe esposti pubblici ufficiali a conseguenze penali e che nel bilanciamento tra l’interesse al buon andamento della pubblica amministrazione e il diritto di difesa doveva essere attribuita prevalenza quest’ultimo.

Il delitto di omissione di atti d’ufficio è considerato un reato di pericolo la cui previsione sanziona il rifiuto non già di un atto urgente, bensì di un atto dovuto che deve essere compiuto senza ritardo, ossia con tempestività in modo da conseguire gli effetti che gli sono propri in relazione al bene oggetto di tutela.

Per la sussistenza del dolo occorre che nell’agente, oltre alla consapevolezza volontà di omettere, rifiutare o ritardare un atto del proprio ufficio ci sia anche la consapevole volontà che così operando agisce indebitamente e ciò in violazione dei doveri impostigli.

Esempi.

  • Integra il reato di rifiuto di atti d’ufficio la condotta del sindaco di un Comune il quale a fronte di una situazione potenzialmente pregiudizievole per l’igiene e la salute pubblica a causa dell’assenza dei requisiti previsti per la potabilità dell’acqua erogata per il consumo ometta di adottare i necessari provvedimenti contingenti ed urgenti volti a eliminare il rischio del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione speciale in materia (cass. pen n 12147/2209).
  • Deve essere riconosciuta la responsabilità ex art. 328 cp del medico anestesista, incaricato di prestare la dovuta assistenza all’intervento chirurgico svolto su un bambino, che si era allontanato subito dopo l’esecuzione dell’intervento chirurgico, senza attendere il regolare risveglio del paziente, senza accertarsi delle sue condizioni, senza lasciar detto dove andava dove poteva essere rintracciato, lasciando il bimbo alla sola vigilanza delle infermiere, nei fatti quindi rifiutando un atto del suo ufficio che doveva essere compiuto senza ritardo per ragioni di sanità, rendendosi irreperibile ed irraggiungibile per oltre 40 minuti, pur nella consapevolezza di aver lasciato senza la doverosa cogente assistenza un paziente appena operato, oltre 40 minuti durante i quali a seguito dell’insorgere di serie complicanze respiratorie nel paziente era stato insistentemente e reiteratamente cercato dei medici e dal centralino dell’ospedale (Cass. N 38354/2014)

  1. CD DELITTO DI MESSA IN MORA . Il secondo comma dell’art 328 incrimina il mancato compimento dell’atto entro 30 giorni dalla richiesta in assenza di una risposta in ordine alle regioni di ritardo. È necessario pertanto il concorso di due condotte omissive: la mancata adozione dell’atto entro 30 giorni dalla richiesta scritta della parte interessata e la mancata risposta sulle ragioni del ritardo. Il reato di omissioni di atti d’ufficio punito dal secondo comma integra un delitto plurioffensivo nel senso che oltre all’interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della pubblica amministrazione concorre anche l’interesse del privato leso dall’omissione o da ritardo dell’atto amministrativo dovuto. Il dovere di risposta da parte del pubblico ufficiale la cui omissione comporta la consumazione del reato presuppone che sia iniziato un procedimento amministrativo con conseguente necessità della sua istruttoria e tempestiva definizione; la richiesta del privato anche se non vincolata a particolari formule deve essere espressa e diretta al pubblico ufficiale titolare del potere – dovere di compiere l’atto. La facoltà di interpello del privato è riconosciuta esclusivamente al soggetto che abbia interesse al compimento dell’atto che fa capo a una situazione giuridica soggettiva su cui il provvedimento è destinato direttamente a incidere. La disciplina sanzionatorio di cui al secondo comma dell’articolo 328 è inapplicabile ai rapporti tra le pubbliche amministrazioni. (La risposta prevista dal secondo comma deve rivestire la forma scritta in base ai principi generali dell’ordinamento). La fattispecie è integrata nel momento in cui, decorsi i 30 giorni, il pubblico ufficiale non emette il provvedimento o non risponde per iscritto sulle ragioni del ritardo costituendo una non scusabile ignoranza della legge penale la non consapevolezza della necessità di una risposta scritta dell’eventuale oggettiva complessità della pratica. Dal momento che la fattispecie dell’omissione di atti d’ufficio costituisce un terreno di raccordo fra il diritto penale e il diritto amministrativo si sono posti alcuni problemi. Ad esempio la cassazione ha ribadito più volte il principio secondo cui, in tema di delitto di omissione di atti d’ufficio, il formarsi del silenzio-rifiuto alla scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato costituisce un inadempimento integrante la condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice in quanto la fattispecie di cui all’art. 328, comma 2, c.p. incrimina non tanto l’omissione dell’atto richiesto, quanto la mancata indicazione delle ragioni del ritardo entro i trenta giorni dall’istanza di chi vi abbia interesse. L’omissione dell’atto, in sostanza, non comporta ex se la punibilità dell’agente, poiché questa scatta soltanto se il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio), oltre a non avere compiuto l’atto, non risponde per esporre le ragioni del ritardo: viene punita, in tal modo, non già la mancata adozione dell’atto, che potrebbe rientrare nel potere discrezionale della pubblica amministrazione, bensì l’inerzia del funzionario, la quale finisce per rendere poco trasparente l’attività amministrativa. In tal senso, la stessa formulazione della norma, che utilizza la congiunzione “e”, delinea una equiparazione ex lege dell’omessa risposta che illustra le ragioni del ritardo alla mancata adozione dell’atto richiesto. Ne discende, conclude la Suprema Corte, che la richiesta scritta di cui all’art. 328, comma secondo, cod. pen., assume la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell’atto o l’esposizione delle ragioni che lo impediscono, con il logico corollario che il reato si “consuma” quando, in presenza di tale presupposto, sia decorso il termine di trenta giorni senza che l’atto richiesto sia stato compiuto, o senza che il mancato compimento sia stato giustificato. (cass pen n. 42610/2015).

Immagine web