(06.09.2016)
ART. 270 BIS CP
Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico
Nel clima di emergenza creato dagli attacchi dell’11 settembre 2001 e alla luce di un fenomeno che si presentava con caratteri nuovi, in adempimento di precisi obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano, si rese necessario adeguare l’apparato sanzionatorio interno predisponendo azioni di contrasto al terrorismo internazionale. Il testo dell’art. 270 bis, introdotto nel codice penale dal D.L. 15.12.1979, n. 625, conv. con modificazioni nella L. 6.2.1980, n. 15 , venne riscritto dal D.L. 18.10.2001, n. 374, conv. con modificazioni nella L. 15.12.2001, n. 438, in particolare: a) inserendo nell’intitolazione del reato il riferimento al terrorismo “anche internazionale” e sostituendo, inoltre, la congiunzione “e” – fra la finalità di terrorismo e quella di eversione – con la disgiuntiva “o“; b) prevedendo la penale rilevanza delle condotte di finanziamento, in aggiunta a quelle di promozione, costituzione, organizzazione, direzione e partecipazione; c) introducendo il riferimento alla finalità di terrorismo anche nel corpo della norma, ove era precedentemente assente; d) scrivendo l’attuale 3° co., a norma del quale “ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale”; e) aggravando il profilo sanzionatorio per le condotte di partecipazione; f) inserendo una forma speciale di confisca obbligatoria nei confronti del condannato, relativamente alle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego.
A seguito delle modifiche introdotte dalla L. 15.12.2001, n. 438, la dottrina ha discusso se debba ritenersi mutata l’oggettività giuridica della fattispecie tradizionalmente individuata nell’ordinamento costituzionale italiano. Secondo l’opinione dottrinale dominante seguita anche dalla giurisprudenza ( Cass. sez. V. 21.11.01,n. 5578) , l’oggetto giuridico della norma è rimasto invariato, nonostante essa attribuisca ora esplicita rilevanza penale anche alle associazioni che si propongono atti di terrorismo contro uno Stato estero, un’istituzione o un’organismo internazionale. Altra parte della dottrinale, invece, è di diversa opinione: in particolare, l’incriminazione delle associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza contro Stati esteri, istituzioni o organismi internazionali mirerebbe a proteggere un bene di nuova emersione, individuabile nella sicurezza pubblica mondiale, poiché tali associazioni mettono in pericolo la stabilità socio-politica universale e l’ordine pubblico internazionale. Sul punto, va ricordato che la L. 16.3.2006, n. 146 di ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15.11.2000 e il 31.5.2001, ha introdotto una espressa definizione di “reato transnazionale” (art. 3) che non autorizza facili inscrizioni della fattispecie in esame nella nuova categoria. Una terza impostazione, individua l’oggetto immediato della tutela, almeno sotto il profilo della messa in pericolo, nei beni della vita, dell’incolumità fisica e della libertà personale delle vittime degli attentati, nonché nel bene della proprietà dei beni colpiti. Si deve inoltre aggiungere che il reato di associazione eversiva con finalità di terrorismo per la giurisprudenza non ha natura plurioffensiva atteso che il bene giuridico tutelato dall’art. 270 bis è esclusivamente la personalità internazionale dello Stato (C., Sez. V, 23.2.2012, n. 12252).
Sul presupposto che l’azione terroristica non è necessariamente diretta all’eversione, potendo essa risultare finalizzata piuttosto al raggiungimento di obiettivi economici o rilevanti esclusivamente ai fini della politica o dell’ordine democratico di uno Stato straniero e che è ipotizzabile che la finalità eversiva sia perseguita attraverso atti non implicanti lo spargimento del terrore nella collettività, la novella del 2001, riscrivendo il testo dell’art. 270 bis, ha conferito autonomia all’associazione che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo rispetto all’associazione che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di eversione dell’ordine costituzionale.
Sebbene manchi una nozione di “Terrorismo” nel dettato del codice non si può ritenere violato il contenuto dell’art. 25. II Cost. dato che il giudice penale può utilizzare le fonti di diritto internazionale tra cui posto di preminenza e di assoluto rilievo per l’integrazione del precetto penale, deve essere riconosciuto alla convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 Dicembre 1999, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 14 Gennaio 2003, n. 7 che contiene una definizione sul terrorismo nella sua globalità, alla quale deve riconoscersi una funzione integratrice con efficacia retroattiva, idonea a conferire concretezza alla fattispecie penale e a delimitarne, in senso favorevole al reo, l’ ambito di applicabilità ( C. Ass. Milano, 09 Maggio 2005). Secondo la giurisprudenza, deve assumersi “terroristica” ogni agevolazione di condotte organizzative, dirette contro la vita o l’incolumità civili, in tempo di pace come in tempo di guerra, ed in particolare, nell’ambito di contesti bellici, contro ogni persona che non prenda parte attiva alle ostilità in una situazione di conflitto armato, al fine di intimidire una popolazione o costringere uno Stato o una organizzazione internazionale a compiere od omettere un atto (C. Sez. V 22.22.13, 2843) .
Quanto alla finalità di eversione dell’ordine democratico, è da ritenere, grazie all’interpretazione autentica contenuta nell’art. 11, L. 29.5.1982, n. 304, giuridicamente riferita a quella di eversione dell’ordinamento costituzionale (C. Sez. V, 27.06.12, 25428), che consista nel sovvertire il complesso di quei principi fondamentali che, secondo le indicazioni della Costituzione, contraddistinguono la fisionomia dello Stato repubblicano pluralistico. Il significato di eversione dell’ordine democratico non può, infatti, limitarsi al concetto di azione politica violenta, ma deve identificarsi nel sovvertimento dell’assetto costituzionale esistente ovvero nell’uso di ogni mezzo di lotta che tenda a rovesciare il sistema democratico previsto dalla Costituzione (C. Sez. V, 27.06.12, 25428)
Si deve evidenziare che l’autonomia fra associazioni terroristiche e associazioni eversive è stata nuovamente posta in discussione dalla sopravvenuta introduzione, con l’art. 270 sexies, della definizione normativa delle “condotte con finalità di terrorismo“, argomento che merita una trattazione autonoma .
Il concorso esterno nel reato è stato ritenuto configurabile anche rispetto al delitto di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico nei confronti di quei soggetti che, pur restando estranei alla struttura organizzativa, apportino un concreto e consapevole contributo causalmente rilevante alla conservazione, al rafforzamento e al conseguimento degli scopi dell’organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali, sempre che sussista la consapevolezza della finalità perseguita dall’associazione a vantaggio della quale è prestato il contributo (C., 14.3.2010, n. 16549).
Il delitto è punito a titolo di dolo specifico.
Il riconoscimento della continuazione fra i reati associativi e i singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso intorno al quale è stata costituita l’associazione è possibile solo quando risulti che l’agente, contestualmente alla costituzione della “ societas scelerum“, ovvero alla propria adesione ad essa, avesse già concepito un disegno chiaro e definito dei singoli delitti immediatamente, realizzabili, nell’ambito dell’accordo associativo (C. Sez. V, 16..3.92, n 660)
Per quanto attiene agli aspetti processuali si deve dire innanzitutto come la competenza territoriale in processi aventi a oggetto imputazioni per il delitto in esame deve essere stabilita non in relazione al luogo dove sono stati commessi i reati che costituiscono la manifestazione della associazione criminosa, bensì in relazione a quello dove l’associazione sia stata formata o abbia il suo centro operativo (C., Sez. I, 5.12.1980) ed è della C. Assise. Agli stessi fini, va considerata l’autonomia, pur in presenza di evidenti contatti reciproci, delle diverse cellule operanti sul territorio nazionale, sicché la relativa valutazione deve imperniarsi esclusivamente sulla dislocazione di ciascuna di esse e, in particolare, della loro base operativa, indipendentemente dal luogo in cui si trovino i singoli membri (T. Milano, G.I.P., 24.1.2005).Quanto alla competenza funzionale, essa spetta al Giudice per le indagini preliminari del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, a norma degli artt. 328, 1° co. ter e 51 c.p.p., anche per le organizzazioni criminali caratterizzate da finalità di eversione, oggi assorbita nella finalità terroristica a norma dell’art. 270 sexies (C., Sez. II, 20.3.2009).
La possibilità che il giudice disponga una misura cautelare è condizionata dal materiale d’indagine nel senso che la valutazione dev’essere complessiva e unitaria, attraverso l’analisi di elementi che di per se non indicativi dell’intraneità dell’indagato tuttavia rivelino, se opportunamente collegati, l’adesione dello stesso a propositi concreti e attuali di consumazione di atti di violenza a servizio del fine eversivo (C., Sez. VI, 13.10.2004). Ai fini dell’adozione di una misura cautelare, elementi di prova del delitto di cui all’art. 270 bis possono desumersi anche dalla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza relativi alla perpetrazione di reati strumentali alla realizzazione e alla vita dell’associazione terroristico-eversiva (C., Sez. II, 25.5.2006). La Suprema Corte ha inoltre ritenuto non manifestamente illogica e, dunque, incensurabile in sede di legittimità la motivazione sulla base della quale il giudice di merito abbia ritenuto, ai fini dell’applicazione di una misura cautelare, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato in esame a carico di un aderente ad una cellula operativa ispirata all’ideologia e alla pratica del terrorismo religioso di matrice islamica, del quale sia risultata la volontà, espressa in un incontro con altri aderenti al suddetto organismo, di aspirare alla “guerra santa” e al “martirio” (C., Sez. II, 21.12.2004).
Oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza è stata la questione del valore probatorio da attribuirsi all’ inserimento di persone e organizzazioni sospettate di terrorismo nelle apposite liste predisposte dalle Nazioni Unite e dall’UE allo specifico fine di contrastare il finanziamento del terrorismo mediante l’adozione delle prescritte misure di congelamento dei beni dei soggetti listati. In senso positivo si sono espressi taluni giudici (T. Brescia, G.I.P., ord., 31.1.2005, che ha dichiarato utilizzabile in sede cautelare come indizio di colpevolezza la circostanza che gli imputati o i loro gruppi di appartenenza fossero inseriti nelle liste, confermata sul punto da C., Sez. I, 21.6.2005). A tale orientamento, tuttavia, pare aver reagito altra parte della giurisprudenza (sulla inutilizzabilità in sede cautelare di fonti di intelligence o ad essa equiparabili ai fini della ricostruzione del reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale T. Milano, G.I.P., ord., 24.1.2005; nel senso, in particolare, che una associazione non è qualificabile come terroristica, neppure in sede cautelare, per la mera inclusione dell’organizzazione di cui detta cellula è diramazione, nelle liste di gruppi terroristici stilati dal Consiglio dell’Unione Europea e dal Comitato di sicurezza finanziaria del Ministero dell’economia, C., Sez. I, 11.10.2006; C., Sez. I, 15.6.2006) Infine, C., Sez. II, 9.2.2005, censurando le pronunce di merito, di segno diverso sul punto, ha ritenuto che non possa il giudice rifiutarsi di considerare come fatti notori quelli avvenuti all’estero sol perché desumibili da notizie di stampa, quando trattasi di fatti che, come quelli verificatisi in Algeria negli ultimi decenni ad opera di gruppi estremistici islamici ivi operanti, siano entrati nel patrimonio conoscitivo della generalità dei cittadini ed abbiano, per giunta, trovato conferma anche in pronunce giudiziarie ed in provvedimenti adottati da organismi internazionali (la Corte, in accoglimento di ricorso del pubblico ministero, ha conseguentemente annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale confermativa di quella del giudice per le indagini preliminari che aveva respinto la richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di soggetti appartenenti ad una cellula islamica denominata Gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento, risultata collegata, anche secondo quanto emergente da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, oltre che da talune sentenze di merito pronunciate da giudici italiani, con organizzazioni terroristiche operanti in Algeria e altrove).
Con riferimento alla disposizione di cui all’art. 4 bis, L. 26.7.1975, n. 354 (ord. penit.), in materia di divieto di concessione dei benefici per talune categorie di delitti, si segnala C., Sez. I, 15.11.2011, n. 45945 che ha chiarito come l’esclusione dei benefici per i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza opera soltanto nei casi in cui il condannato abbia posto concretamente in essere atti di violenza.
A proposito dell’applicazione della disciplina della riparazione per ingiusta detenzione, si segnala C., Sez. IV, 22.12.2015-17.2.2016, n. 6379, secondo la quale deve essere rigettata la domanda avanzata in relazione ad un periodo di detenzione carceraria patita per il reato di associazione di terrorismo internazionale (art. 270 bis) fino alla definitiva assoluzione per non avere commesso il fatto, posto che il mostrarsi contigui agli altri componenti del gruppo associato e condividere con questi ultimi le ideologie terroristiche che ne caratterizzano l’attività in forma associata, quantomeno con modalità idonee a rafforzare l’azione delittuosa con finalità terroristiche di matrice religiosa, integra quella “colpa grave” che esclude il diritto all’indennizzo, ponendosi tale condotta in diretta relazione causale con l’intervento della autorità giudiziaria attraverso l’adozione della cautela.
In applicazione dell’art. 1, 3° co. bis, D.L. 18.2.2015, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 17.4.2015, n. 43, la condanna per i delitti previsti dal presente articolo comporta la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale quando sia coinvolto un minore.
Dott.ssa Eva SImola
Per la configurabilità del reato è necessaria la sussistenza di un gruppo costituito in “associazione”, alla cui formazione, peraltro, secondo un orientamento giurisprudenziale formatosi sulla versione originaria della norma (C., Sez. I, 10.12.1990; C. 2.6.1988; C., Sez. I, 4.11.1987, che richiama l’eventuale applicabilità, per le ipotesi di lieve entità oggettiva, della diminuente prevista dall’art. 311; C., Sez. I, 17.4.1985 e recentemente ripreso anche in relazione all’associazione terroristica internazionale -Gup di Brescia in data 13.7.2005), sarebbero sufficienti due persone. Critica, sul punto, la dottrina, la quale ricorda che il numero minimo ed indispensabile, dei componenti del sodalizio criminoso solitamente è di tre citando anche i dettami della Decisione quadro del Consiglio U.E. sulla lotta contro il terrorismo del 13.6.2002.
La giurisprudenza, premesso che il reato in esame deve qualificarsi come reato di pericolo presunto (C. C. Pen. 26.05.2006, n. 22673), puntualizza che, per la configurabilità del reato, occorre l’esistenza di una struttura organizzata, con un programma comune fra i partecipanti, finalizzato a sovvertire violentemente l’ordinamento dello Stato e accompagnato da progetti concreti e attuali di atti di violenza. La norma, infatti, appresta tutela contro il programma di violenza, non contro l’idea, anche se questa è collocata in un’area ideologica di contrasto con l’ordinamento costituzionale dello Stato. Secondo la C., Sez. V, 8.10.2015-21.1.2016, n. 2651, il delitto di associazione con finalità di terrorismo internazionale o di eversione dell’ordine democratico, per la sua natura di reato di pericolo presunto è integrato in presenza di una struttura organizzativa con grado di effettività (anche se rudimentale, che deve essere dotata dei caratteri di stabilità e permanenza, idonea a rendere possibile l’attuazione del programma delittuoso (C.Pen. sez V. 12.7.2012 n. 46308), ma non richiede anche la predisposizione di un programma di azioni terroristiche. Secondo la più rigorosa giurisprudenza della Suprema Corte va esclusa la qualificabilità, ai sensi dell’art. 270 bis, di un’associazione criminosa ove, al di là delle intenzioni dichiarate, le azioni effettivamente realizzate, costitutive di precise figure di reato, siano rimaste circoscritte all’offesa di beni di proprietà privata o di enti pubblici locali, situati solo in una zona circoscritta e periferica del territorio dello Stato, e non abbiano, invece, colpito specifici organi, istituzioni, organismi di portata nazionale, la cui incolumità e normalità è necessaria per la sopravvivenza dell’ordinamento democratico italiano (C., Sez. I, 21.11.2001). Tali pronunce ,pur ribadita in premessa la comune opinione che il delitto in commento si inserisca nella categoria dei reati pericolo presunto, precisano che, tuttavia, ciò che si presume in modo assoluto è l’esistenza del pericolo, non la direzione dell’atto violento. A ciò va aggiunto che è irrilevante la durata della operatività dell’associazione e la limitazione della sua attività ad un determinato ambito territoriale (C., Sez. VI, 10.2.1998).
Il fine di eversione dell’ordinamento democratico rileva non solo sul piano dell’elemento soggettivo, denotando la necessità del dolo specifico, ma già sul piano della condotta, qualificando l’atto e, di conseguenza la stessa associazione. Pertanto, ove l’atto di violenza non sia – nella sua oggettiva consistenza e direzione – volto al sovvertimento dell’ordinamento costituzionale e idoneo a scalfirlo, al di là degli intenti espressi, dovrebbe dirsi mancante la finalità eversiva e, di conseguenza, insussistente il reato per mancanza già dell’elemento materiale del reato (C., Sez. VI, 24.2.1999). In contrasto con tali assunti, invece, si pone C., Sez. I, ord. 2.11.2005, che ha ritenuto configurare il reato in esame l’azione posta in essere da un gruppo anarchico, volta al compimento di atti di violenza contro luoghi di detenzione, centri di permanenza per immigrati, banche e società multinazionali, in quanto simboli della politica dello Stato in campo economico e sociale, affermando che tali azioni violente, essendo dirette al turbamento dell’ordine pubblico, condizionano il funzionamento degli organi statali centrali e periferici, ricorrendo dunque la finalità di eversione dell’ordine democratico costituzionale.
L’art. 270 bis non è applicabile alle associazioni con finalità di eversione dell’ordine democratico di uno Stato estero in considerazione, oltre che del tenore testuale della norma al comma 3, anche a ragioni di opportunità che hanno consigliato il legislatore di sottrarre al giudice italiano ogni valutazione sulla democraticità di uno Stato Estero.
Con riferimento alla condotta di partecipazione all’associazione terroristica di matrice islamico-fondamentalista, si concorda in dottrina e giurisprudenza sul fatto che la necessità di una struttura organizzativa effettiva e tale da rendere possibile l’attuazione del programma criminale non implica necessariamente il riferimento a schemi organizzativi ordinari, essendo sufficiente che i modelli di aggregazione tra sodali integrino il “minimum” organizzativo richiesto a tale fine: integra il delitto di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale la formazione di un sodalizio, connotato da strutture organizzative “cellulari” o “a rete”, in grado di operare contemporaneamente in più Paesi, anche in tempi diversi e con contatti fisici, telefonici ovvero informatici anche discontinui o sporadici tra i vari gruppi in rete, che realizzi anche una delle condotte di supporto funzionale all’attività terroristica di organizzazioni riconosciute ed operanti come tali, quali quelle volte al proselitismo, alla diffusione di documenti di propaganda, all’assistenza agli associati, al finanziamento, alla predisposizione o acquisizione di armi o di documenti falsi, all’arruolamento, all’addestramento (C.Sez. V 28..1.2013, 51127; C., Sez. VI, 12.7.2012, n. 46308). Diversamente un parte della giurisprudenza, applicando il canone del ragionevole dubbio, ha mostrato invece una posizione di maggior rigore assolvendo gli imputati ritenendo insuperabile, nonostante le approfondite indagini, la lacuna nell’accertamento del collegamento fra le condotte attribuibili agli imputati e l’atto di violenza all’estero che la cellula individuata si sarebbe proposta di compiere, atto rimasto, nel caso di specie, totalmente indeterminato (Ass. Milano 9.5.2005). A questo va aggiunto che la giurisprudenza ha ritenuto integrato il delitto di cui all’art. 270, dalla condotta di chi, offrendo ospitalità ai “fratelli” ritenuti pericolosi, preparando documenti d’identità falsi e propagandando all’interno dei luoghi di culto la raccolta di fondi per i “mujaeddin” ed i familiari dei cd. “martiri”, esprime, in tal modo, il sostegno alle finalità della stessa associazione terroristica ed assicura un concreto intervento in favore degli adepti, in adesione al perseguimento del progetto “jiadista” ( C., Sez. V, 8.10.2015-21.1.2016, n. 2651). Lo svolgimento di tali condotte in via continuativa attribuisce, invece, il ruolo di organizzatore. E’ bene ricordare che qualora l’esecuzione dell’ordine di espulsione esponga il ricorrente al rischio di subire nel Paese d’origine trattamenti contrari all’art. 3 CEDU questo deve ritenersi ineseguibile, a pena di violazione dell art. 34 della Convenzione Europea (C. sez. V 28 aprile 2010, n. 20515; Corte europea dei Diritti dell’UOmo, sez. grande chambre, 23 Gennaio 2008, n. 37201)
La condotta punibile consiste nel promuovere, costituire, organizzare, dirigere o finanziare associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico; oppure nel partecipare a tali associazioni, condotta meno gravemente sanzionata (con la reclusione da cinque a dieci anni, a norma del 2° co. dell’articolo in esame) rispetto alle altre appena menzionate (punite con la reclusione da sette a quindici anni). Le condotte di promovimento, costituzione, organizzazione, direzione e partecipazione dell’associazione, già punite ai sensi del testo originario dell’art. 270 bis, sono del tutto coincidenti alle condotte penalmente rilevanti ai fini dell’associazione sovversiva di cui all’art. 270. La condotta di partecipazione al delitto non è integrata dalla sola adesione ideale al programma criminale (C.Sez. V, 22.3.2013, n.22719) mentre invece il mero inserimento nell’organigramma dell’associazione è sufficiente a integrare gli estremi della partecipazione, in relazione alla natura e alle caratteristiche strutturali del sodalizio, a prescindere dalla realizzazione di specifiche condotte a sostegno dello stesso, in quanto l’affidamento sulla persistente disponibilità di adepti, che rimangano mimetizzati nel tessuto connettivo della società (a fianco ed a sostegno di quelli dati alla clandestinità), è tale da rafforzare e consolidare il vincolo associativo, concorrendo a costituire l’elemento di coesione del gruppo, al pari della consapevolezza della comune militanza e della condivisione dell’idea rivoluzionaria (C., Sez. V, 10.11.2010). È integrato il delitto in commento anche qualora la partecipazione di un soggetto a un gruppo terroristico si concreti in condotte strumentali e di supporto logistico alle attività dell’associazione all’estero, qualora esse inequivocabilmente rivelino il suo inserimento nell’organizzazione (A. Milano, 5.11.2007). Nell’analisi dei ruoli all’interno dell’associazione sovvertiva si distinguono i semplici partecipanti (che svolgono solo attività fungibili tipicamente esecutive) dagli organizzatori (che sono coloro che svolgono attività essenziali per assicurare la vita e l’efficienza dell’organizzazione in relazione alle finalità che questa persegue ed alla sua concreta struttura; tale attività non deve essere necessariamente costituita dalla organizzazione del lavoro altrui, propria del dirigente, potendo anche consistere in un’attività svolta in solitudine, i cui risultati sono poi messi a disposizione dell’associazione): la giurisprudenza ha ritenuto che la prova dell’avvenuto inserimento nell’associazione illecita possa essere data anche per facta concludentia, ove si accerti la spendita, da parte del soggetto, di una qualsiasi attività in favore del sodalizio criminoso, con il beneplacito di coloro che nel medesimo organismo operano già a livello dirigenziale, a nulla rilevando che, secondo le regole interne di esso, la medesima attività non implichi, invece, di per sé, il titolo di sodale (il principio, è stato applicato con riguardo all’organizzazione terroristica “brigate rosse” in relazione alle ipotesi di reato di cui agli artt. 270 bis e 306; C., Sez. I, 10.5.1993). Per quanto attiene invece alla condizione dell’arruolato (che, in quanto tale, non risponde del reato di cui all’art. 270 quater) o dell’addestrato (punibile, invece, ai sensi dell’art. 270 quinquies) questa non preclude la responsabilità di questi ultimi in ordine al reato associativo di cui all’art. 270 bis, qualora essi entrino a far parte dell’organizzazione terroristica in nome e per conto della quale l’arruolamento o l’addestramento sono effettuati, dal momento che, con l’introduzione delle previsioni di cui agli artt. 270 quater e 270 quinquies, il legislatore ha inteso estendere e non restringere l’area delle condotte penalmente sanzionabili (C., Sez. V, 2.10.2008). In ogni caso, considerata l’autonomia del reato associativo rispetto ai reati fine, la prova della partecipazione all’una può essere data con mezzi e modi diversi dalla prova in ordine alla commissione degli altri. È legittima, in particolare, la condanna per reato associativo dell’imputato che non sia stato condannato per i reati “fine” dell’associazione (C., Sez. II, 16.3.2010). Peraltro, dalle connotazioni strutturali dell’associazione può essere desunta la prova della responsabilità del partecipe di un gruppo criminale terroristico anche in ordine al reato fine (C. Sez. V, 7.12.2007: nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’articolazione in “cellule” territoriali dalla assai ridotta composizione numerica, la forte caratterizzazione ideologica dei militanti da cui deriva la consapevole ed incondizionata adesione al programma, l’esasperata selettività degli obiettivi prescelti implicassero una partecipazione totalizzante ed il necessario conseguente coinvolgimento di tutti i componenti della cellula nell’impresa criminosa da essa pianificata).