Stop ai “furbetti della L. 104”: licenziamento e imputazione per truffa ai danni dello stato

(26/09/2016)

Com’è noto, la L. n. 104/1992 contenente disposizioni in favore dei disabili, all’art. 33, 3° comma, attribuisce al lavoratore dipendente, che assista persone affette da handicap grave, il diritto a fruire, per ciascun mese, di tre giorni di permesso retribuito, coperto da contribuzione figurativa. La norma individua le condizioni cui è subordinato il godimento del diritto e i soggetti che ne sono titolari. Si tratta di una misura a sostegno dei disabili il cui presupposto è costituito dall’esistenza dello stato di handicap grave della persona da assistere, accertato dagli organi competenti e tale da richiedere un intervento assistenziale permanente e continuativo.Ulteriori requisiti sono costituiti dal fatto che la persona affetta dalla patologia abbia superato l’età di tre anni e non sia ricoverata a tempo pieno in strutture quali ospedali e case di cura, venendo meno in tale circostanza la necessità di prestare assistenza.

Negli ultimi anni si è assistito ad un uso improprio del diritto in oggetto come nel caso di L.P., lavoratrice del Comune di Villafranca, licenziata (per giusta causa) per aver utilizzato, nel primo trimestre del 2012, complessivamente n. 38 ore e 30 minuti di permesso ai sensi dell’art. 33 L. 104/92, fruiti per finalità diverse dall’assistenza alla madre disabile, e specificamente per recarsi a Milano a frequentare le lezioni universitarie di un corso di laurea. I fatti erano risultati dimostrati alla stregua delle risultanze delle indagini di P.G., in relazione all’attività di osservazione e pedinamento compiuta nelle giornate di fruizione dei permessi mentre non risultò accoglibile la tesi della lavoratrice, secondo cui l’attività assistenziale veniva svolta di sera, al rientro da Milano perché “da un lato, l’attività di assistenza deve essere necessariamente svolta in coincidenza temporale con i permessi accordati, dall’altro, la L. non aveva specificamente allegato/chiesto di provare nel ricorso ex art. 414 c.p.c. di avere comunque prestato assistenza nelle giornate in cui fruiva dei permessi accordati dall’Ente ex art. 33 L. 104/92” inoltre ” i permessi erano stati sistematicamente fruiti nelle giornate di lunedì e mercoledì dalle ore 11,00 alle ore 13,30/14,00, mentre il martedì la lavoratrice utilizzava i permessi di studio; il ricorso alternato alle due tipologie di permessi nei tre giorni nei quali si tenevano le lezioni del corso universitario dimostrava la piena consapevolezza, da parte della lavoratrice, di fare un uso improprio dei permessi ex I. 104/92, in quanto deliberatamente utilizzati non per finalità assistenziali, ma per attendere ad altra attività di proprio esclusivo interesse; inoltre la L. era dipendente presso l’ufficio del personale e quindi sicuramente consapevole degli specifici istituti contrattuali che disciplinano il rapporto di lavoro “(Corte di appello di Venezia,  n. 717/14).

Per la cassazione di tale sentenza L.P. ricorre con tre motivi:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 3, L. n. 104/1992, dapprima modificato dall’art. 19 L. n. 53/2000, poi sostituito dall’art.24, comma 1, lett. a) L. n. 183/2010 e, da ultimo, ulteriormente modificato dall’art. 6, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 119/2011. (” La Corte di appello aveva erroneamente ritenuto che l’attività di assistenza al disabile dovesse essere prestata in coincidenza temporale con la fruizione dei permessi accordati dal datore di lavoro. Se tale requisito fosse stato richiesto, il legislatore lo avrebbe espressamente previsto. La legge n. 53/2000 ha abolito il requisito della convivenza, mantenendo i requisiti della continuità e della esclusività della assistenza. La legge n.183/2010 ha eliminato il requisito della continuità dell’assistenza prestata al disabile, mentre è stato istituito il principio c.d. dei “referente unico”, secondo cui un solo lavoratore dipendente può godere dei permessi retribuiti per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Dunque, neppure la legge n. 183/2010 ha imposto un obbligo di contemporaneità della prestazione di assistenza al disabile con la fruizione dei permessi. La Circolare n. 13/2000 del Dipartimento della Funzione Pubblica, nell’individuare nell’unico referente per ciascun disabile il soggetto che assume il ruolo e la connessa responsabilità di porsi quale punto di riferimento della gestione generale dell’intervento, assicurandone il coordinamento e curando la costante verifica della rispondenza ai bisogni dell’assistito, ha delineato un ruolo di responsabilità nella gestione e coordinamento dell’assistenza al disabile, ma non ha prescritto che tale ruolo debba essere assolto in coincidenza temporale con la fruizione dei permessi. La ratio della norma è da ravvisare in una funzione non direttamente strumentale, ma “compensativa” delle cure ed incombenze prestate in momenti temporali diversi dalla fruizione del permesso. In altri termini, si intende sgravare parzialmente il lavoratore da una porzione della sua obbligazione di lavoro per compensare il suo tempo libero personale che impegna nel prestare attività di assistenza al disabile e dunque recuperare, attraverso il riposo, le energie spese per l’assistenza in tempi diversi da quelli per cui il permesso è stato richiesto al datore di lavoro. A fronte di tale ratio dell’istituto, il Comune avrebbe potuto legittimamente adottare il licenziamento soltanto se fosse stato accertato in giudizio che la L. non aveva prestato con continuità e personalmente assistenza alla madre malata anche in orari diversi da quelli di fruizione dei permessi”) 

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 244 c.p.c., 2697 c.c., 2729 c.c. e dell’art. 5 L 15 luglio 1966 n. 604 (“La Corte di appello ha affermato che, anche ove fosse ritenuta corretta l’interpretazione proposta dalla ricorrente, in ogni caso non era stato specificamente allegato nel ricorso ex art. 414 c.p.c. che la L. aveva sempre prestato, nelle giornate in cui fruiva dei permessi, assistenza alla madre in orario serale al rientro da Milano. Tale affermazione era erronea, essendo stato formulato un capitolo di prova specificamente diretto a dimostrare che “pressoché tutte le sere” ciò era avvenuto. Inoltre, era stato allegato agli atti il verbale dell’udienza di escussione dei testi nel giudizio penale, da cui risultava che la ricorrente aveva prestato quotidianamente assistenza alla madre gravemente malata. Tali risultanze erano state del tutto trascurate dai Giudici dei lavoro di primo e di secondo grado“).
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 c.c. e dell’art. 3 CCNL Regioni ed Enti Locali dell’11.4.2008 in tema di proporzionalità e gradualità delle sanzioni. In particolare, era stato trascurato l’elemento soggettivo della buona fede (La normativa sui permessi per l’assistenza ai disabili nulla dice a proposito della necessità di prestare assistenza in concomitanza temporale con la fruizione dei permessi presso l’ente di appartenenza, né si esprimono in tal senso le circolari interpretative degli organi pubblici deputati. La ratio della norma fa propendere, con notevole grado di certezza, per la funzione compensativa della stessa. Nel quadro di incertezza interpretativa non può ritenersi presente quell’elemento intenzionale sulla cui sussistenza e particolare intensità viene fondato il provvedimento espulsivo. La buona fede della dipendente emergeva, inoltre, proprio dai tempi e dalle modalità di fruizione dei permessi: infatti, l’Amministrazione aveva concesso alla ricorrente di godere dei tre giorni di permesso ex art. 33 L. n. 104/92 distribuendo le ore corrispondenti sull’arco di tutto il mese, fruendo dei permessi tutti i lunedì e mercoledì dalle ore 11 alle ore 13,30; contemporaneamente la lavoratrice aveva ottenuto di godere di 150 ore di permessi studio nello stesso trimestre il martedì, sempre dalle ore 11, alle ore 13,30, motivando la richiesta con l’esigenza di frequentare le lezioni di un corso di laurea).

Per la  Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 giugno – 13 settembre 2016, n. 17968 il ricorso, in tutte le sue articolazioni, è infondato

Innanzitutto si osserva che ” la ratio della norma di cui all’art. 33, comma 3, della Legge n. 104/92 emerge dalla piana lettura del testo normativo. Il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa spetta al “lavoratore dipendente … che assiste persona con handicap in situazione di gravità…’; esso è riconosciuto dal legislatore in ragione dell’assistenza, la quale è causa del riconoscimento dei permesso. Tale essendo la ratio del beneficio e in mancanza di specificazioni ulteriori da parte del legislatore, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile. Nessun elemento testuale o logico consente di attribuire al beneficio una funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per l’assistenza prestata al disabile. Tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto, come nel caso in esame (l’accertamento del giudice di merito ha evidenziato che i permessi erano sistematicamente utilizzati dall’odierna ricorrente per proprie esigenze personali, in situazioni di tempo e di luogo incompatibili con l’espletamento dell’assistenza), non può riconoscersi un uso dei diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto, come già ritenuto da questa Corte in precedenti analoghi.  Alla luce dell’orientamento di questa Corte, che si condivide ed al quale si intende dare continuità (Cass. n. 4984/2014, conf. Cass. n. 9217/2016, n. 9749/2016 e n. 8784/2015), il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33 L. n. 104/1992, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi dell’abuso di diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti dei datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale“.

Questo significa che in difetto di nesso causale diretto tra assenza dal lavoro e prestazione di assistenza, devono ritenersi violati i principi di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo e questo rileva “anche ai fini disciplinari, pure a prescindere dalla figura dell”‘abuso di diritto, che comunque è stata integrata tra i principi della Carta dei diritti dell’unione europea (art. 54), dimostrandosi così il suo crescente rilievo nella giurisprudenza europea” (Cass. n. 9217/2016). 

Ai fini della valutazione della gravità della condotta, “il carattere sistematico e la preordinazione nell’utilizzo improprio dei permessi, elementi anche sintomatici dell’intensità dell’elemento psicologico” sono “circostanze idonee a integrare il precetto normativo della giusta causa. Difatti, oltre al disvalore sociale dei comportamento, insito dello sviamento dalla funzione di assistenza del familiare, rilevano sia la consapevolezza dell’uso improprio, insita nel fatto di avere avanzato una richiesta di frazionamento dei permessi strumentale al soddisfacimento di esigenze personali, prive di qualsiasi nesso con la prestazione di assistenza, sia il carattere continuativo dell’uso indebito, che ne esclude qualsiasi connotazione di eccezionalità o occasionalità. Né potrebbe rilevare, ai fini dell’attenuazione della portata dell’elemento soggettivo, la circostanza che l’Amministrazione abbia accordato il frazionamento richiesto, non potendo da ciò presumersi la consapevolezza, da parte datoriale, dello sviamento dalla funzione di assistenza. La conoscenza dei fatti si è avuta, come accertato dai giudici di merito, solo all’esito delle indagini di polizia giudiziaria. In conclusione, l’intenzionalità rileva solo in ragione del comportamento posto in essere, il quale è integrato da una condotta sostanzialmente abusiva. Quanto al presunto affidamento che si asserisce indotto da interpretazioni contenute in circolari ministeriali o desumibili da altre fonti non meglio precisate, trattasi di circostanze cui la Corte di appello non fa cenno nella sentenza impugnata e che, pertanto, devono ritenersi allegazioni nuove e come tali inammissibili ex art. 366 c.p.c.” (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n.3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).
In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto: in tema di esercizio dei diritto di cui all’art. 33, comma 3, L. 104/92, la fruizione del permesso da parte dei dipendente deve porsi in nesso causale diretto con lo svolgimento di un’attività identificabile come prestazione di assistenza in favore del disabile per il quale il beneficio è riconosciuto. L’uso improprio dei permesso può integrare, secondo le circostanze dei caso, una grave violazione intenzionale degli obblighi gravanti sul dipendente, idonea a giustificare il licenziamento per giusta causa nonché un procedimento penale per indebita percezione ai danni dell ente previdenziale e del Sistema Sanitario Nazionale (Truffa ai danni dello Stato / Trib. Genova, sent. del 21.10.2015)
Dottssa Eva Simola

Pubblicato da evasimola

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