Pronta reperibilità del medico ed omissione di atti d’ufficio

L ’istituto della reperibilità (o pronta disponibilità) costituisce una modalità organizzativa dei servizi apprestati dalle aziende sanitarie ed è disciplinato dal D.P.R. 25 giugno 1983, n. 348, art. 25, recante trattamento del personale delle unità sanitarie locali (G.U. 20 luglio 1983, n. 197), successivamente sempre richiamato o ripreso dai contratti collettivi nazionali dell’area della dirigenza medico – veterinaria del servizio sanitario nazionale (v. in particolare artt. 19 e 20 C.C.N.L. 5.12.1996, art. 16, comma 6, C.C.N.L. 1998-2001 e interpretazione autentica dell’art. 16 C.C.N.L. 8.6.2000 concordata il 7.5.2003).

 L’art. 25 D.P.R. 25 giugno 1983, n. 348 dichiara che il servizio di pronta disponibilità “è caratterizzato dalla immediata reperibilità del dipendente e dall’obbligo per lo stesso di raggiungere il presidio nel più breve tempo possibile dalla chiamata, secondo intese da definirsi in sede locale“. Pertanto risponde del delitto di omissione di atti di ufficio il sanitario ospedaliero, in servizio di pronta reperibilità, che, chiamato dal medico già presente nel nosocomio, si rifiuta di recarsi in ospedale, sul presupposto che non sarebbe ravvisabile alcuna situazione di urgenza. (Sez. 6, Sentenza n. 12376 del 13/02/2013, Rv. 255391, Da Col). Il sanitario in servizio di pronta reperibilità, infatti secondo un consolidato orientamento di legittimità, non ha alcuna possibilità di sindacare la necessità e l’urgenza della chiamata (Sez. 6, Sentenza n. 12376 del 13/02/2013, Rv. 255391, Da Col; Sez. VI Penale Sentenza 27 ottobre – 27 novembre 2015, n. 47206, Presidente Milo) in quanto il servizio di pronta disponibilità, è finalizzato ad assicurare una più efficace assistenza sanitaria nelle strutture ospedaliere ed in tal senso è integrativo e non sostitutivo del turno cosiddetto turno di guardia. Ne consegue che esso presuppone, da un lato, la concreta e permanente reperibilità del sanitario e, dall’altro, l’immediato intervento del medico presso il reparto entro i tempi tecnici concordati e prefissati, una volta che dalla Sede ospedaliera ne sia stata comunque sollecitata la presenza. Il rifiuto è penalmente rilevante ai sensi dell’art. 328 cod. pen., comma 1, e si consuma con la violazione del suddetto obbligo e la responsabilità non è tecnicamente connessa all’effettiva ricorrenza della prospettata necessità ed urgenza dell’intervento chirurgico (Sez. 6, Sentenza n. 48379 del 25/11/2008 Rv. 242400, Brettoni).

Si ricorda che il 1° co.. dell’art. 328 cp è prevista la figura del rifiuto di atti urgenti, che viene descritta come il fatto del pubblico ufficiale, o dell’incaricato di un pubblico servizio, «che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo». Rifiuto si ha ogni qualvolta l’agente, volontariamente, non compie un atto che gli è stato richiesto di compiere, quando egli sia anche consapevole di tale richiesta. L’art. 328, 2° co. incrimina invece un’ipotesi residuale di rifiuto di atti di ufficio (cosiddetto delitto di messa in mora), descrivendone in particolare la condotta illecita come quella del pubblico ufficiale, o incaricato di un pubblico servizio, che, «fuori dei casi previsti dal 1° co., entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo».

Tra gli ultimi casi di condanna si può ricordare quello alla basa della sentenza della Cassazione penale del 2005 (Cass. pen.  27 novembre 2015, n. 47206 ): L. V. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 328, comma 1, c.p., perché, in qualità di medico radiologo in servizio presso l’Ospedale SS. Rosario di Venafro, ed in turno di reperibilità, chiamato da un collega presente nel suddetto ospedale per redigere il referto di una TAC effettuata su V.  C. (il quale, poco prima, era caduto in bicicletta, procurandosi un trauma cranico di grado lieve gruppo 1, essendosi su di lui riscontrate evidenti amnesie, con ferite lacere al cuoio capelluto e trauma al gomito ed al ginocchio destro), aveva rifiutato di recarsi presso il nosocomio per attendere alle incombenze a lui affidate. Dalla escussione del dr. R. è emerso che il rifiuto dello L. di recarsi presso il nosocomio, pur essendogli state illustrate le condizioni cliniche del paziente, era risultato del tutto immotivato e le deduzioni di senso contrario del ricorrente sono rimaste del tutto indimostrate.

Dottssa Eva Simola

 

Pubblicato da evasimola

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