Morbose attenzioni di un vicino di casa: un caso di stalking

(22/09/2016)

Il termine “stalking“, dall’ inglese “to stalk” (variamente traducibile con  “fare la posta”,” braccare la preda”), è entrato nel linguaggio ordinario per indicare le molestie assillanti: lo stalker, solitamente, agisce nei confronti di una persona che conosce, con una serie di comportamenti basati sulla comunicazione e/o sul contatto e caratterizzati dalla ripetizione, insistenza e intrusività, come ad es. il pedinamento, le telefonate oscene ecc. La pressione psicologica legata al comportamento dello stalker crea nella vittima sentimenti quali l’angoscia, la preoccupazione e la paura per la propria incolumità (indubbiamente l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T, Rv. 262636).

In Italia il reato di stalking è stato introdotto con il  DL 23 Febbraio 2009, n.11  recante “misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori” convertito, con modificazioni, con la L. 23.4.2009, n. 38, che ha collocato l’art. 612 bis e, con esso, il delitto di atti persecutori, fra i delitti contro la libertà morale. Il legislatore ha quindi preso atto, vista anche la normazione internazionale, “che la violenza (declinata nelle diverse forme delle percosse, della violenza privata, delle lesioni personali, della violenza sessuale) spesso è l’esito di una pregressa condotta persecutoria; pertanto, mediante l’incriminazione degli atti persecutori si è inteso in qualche modo anticipare la tutela della libertà personale e dell’incolumità fisio­psichica attraverso l’incriminazione dì condotte che, precedentemente, parevano sostanzialmente inoffensive e, dunque, non sussumibili in alcuna fattispecie penalmente rilevante o in fattispecie per così dire minori, quali la minaccia o la molestia alle persone ” (Cassazione sez. V Penale, 13 novembre 2015, n. 454539)

L’art. 612 bis cp richiede, innanzitutto, la presenza di condotte reiterate di violenza o minaccia ecco perché la Cassazione ha sostenuto che il delitto ha natura di reato abituale (C., Sez. V, 17.11.2015-24.3.2016, n. 12509; ). Purtuttavia non è necessaria una lunga sequela di azioni delittuose, essendo sufficiente che le condotte violente o minacciose siano di numero e consistenza tali da ingenerare nella vittima il fondato timore di subire offesa alla propria integrità fisica o morale e da provocare nella stessa un perdurante e grave stato di ansia, ovvero un fondato timore per l’incolumità propria o anche di un proprio congiunto (C., Sez. V, 4.4.2013, n. 27798).  Integrano il delitto anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (C., Sez. V, 10.7-24.11.2014, n. 48690; C., Sez. V, 5.6.2013, n. 46331) mentre non è configurabile in presenza di un’unica, per quanto grave, condotta di molestie e minaccia (C., Sez. V, 24.9.2014, n. 48391). Inoltre si ritiene configurabile il 612 bis anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice (C., Sez. V, 10.7-24.11.2014, n. 48690; in relazione a condotte tutte tenute nell’arco di una sola giornata). È irrilevante invece il fatto che, all’interno del periodo di vessazione, la persona offesa abbia avuto transitori momenti di benevola rivalutazione del passato e di desiderio di pacificazione con lo stalker (C., Sez. V, 16.9.2014-4.2.2015, n. 5313; C., Sez. V, 17.6.2014, n. 41040). Si è anche affermato che integra il delitto di atti persecutori la condotta di colui che compie atti molesti ai danni di più persone, costituendo per ciascuna motivo di ansia, non richiedendosi, ai fini della reiterazione della condotta prevista dalla norma incriminatrice, che gli atti molesti siano diretti necessariamente ad una sola persona (C., Sez. V, 7.4.2011).

La condotta deve poi consistere in minacce e/o molestie. Per minaccia si intende la prospettazione di un male futuro e prossimo, la cui verificazione dipende dalla volontà dell’agente (Mantovani, PS, I, 333), per molestia, ogni attività che alteri dolorosamente o fastidiosamente l’equilibrio psico-fisico normale di un individuo (Manzini, X, 193).

Tutto ciò premesso si può prendere in considerazione il caso di stalking in oggetto.

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito sulla base dell’ istruttoria dibattimentale M. ha mestato la vicina di casa L.P., giovane donna sposata e amica della figlia dell’imputato. Le molestie erano iniziate con degli approcci durante incontri casuali nei pressi di casa e mentre entrambi si trovavano sui balconi delle rispettive abitazioni (posti l’uno di fronte all’altro): l’uomo aveva pronunziato frasi come “tu mi piaci”, aveva “mandato” baci, si era messo le mani sul cuore “a voler mimare il suo amore” e una notte aveva puntato la luce di una torcia verso l’abitazione della donna. In altre occasioni l’aveva aspettata fuori della palestra e fuori dal parrucchiere; l’aveva pure raggiunta ai giardinetti, dove si trovava con i figli, e le aveva detto sussurrando “ma lo vuoi capire che sono innamorato di te”; era accaduto pure che le avesse sussurrato le parole “ti amo” nell’androne di una chiesa, durante una processione”.

La donna si era determinata a presentare la querela dopo che erano rimasti senza esito i tentativi di far desistere l’uomo dal suo comportamento e dopo un ennesimo episodio, cui aveva assistito pure il marito: in data 27 novembre 2010, mentre lei si trovava sul balcone, il M., seduto nella cucina della propria casa, spostata la tenda, si “toccava le parti intime”.

In conseguenza delle reiterate molestie subite del M., la persona offesa aveva avvertito un forte senso di ansia e si era sentita perseguitata, tanto da dover modificare le proprie abitudini di vita: infatti si era vista costretta a causa delle morbose attenzioni del M. ad uscire di casa sempre accompagnata dal marito o dalle amiche, anche per espletare le normali attività quotidiane.

Sia il Tribunale che la Corte territoriale hanno dato altresì conto delle risultanze in base alle quali hanno ritenuto provata la sussistenza dell’evento del reato di cui al 612 bis cp. Contro tale decisione M ricorreva in Cassazione rappresentando nel ricorso che i fatti si erano concretati solo in un pressante “corteggiamento”.

La Cassazione, rigettava il ricorso osservando che “M. ha perpetrato una serie di atti di molestia, provocando stato d’ansia nella vittima e inducendola a mutare le proprie abitudini nella propria vita quotidiana, chiedendo aiuto al marito e alle sue amiche, tra cui la figlia dello stesso imputato. Peraltro non ci sono dubbi anche sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato. (…) I giudici di merito hanno evidenziato quanto emerso nell’istruttoria dibattimentale in ordine all’elemento soggettivo, sottolineando anche che il M. aveva continuato a molestare la vittima sebbene fosse stato invitato, sia da sua figlia che dal marito e dal fratello della P., a desistere dalla sua condotta persecutoria”(Cassazione sez. V Penale, 13 novembre 2015, n. 454539) . 

Nessun corteggiamento, ma solo morbose attenzioni quelle di M.

Dottssa Eva Simola

 

 

Pubblicato da evasimola

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