M.B. Condannato per aver preteso prestazioni sessuali dalla moglie

(19/09/2016 )

All’interno del concetto di violenza domestica, intesa come quella che “si compie nel rapporto di coppia”, particolare rilievo assume l’imposizione di un rapporto sessuale. Secondo l’ISTAT la maggior parte degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente (62,7%) a dimostrazione del fatto che troppo spesso, il vincolo affettivo tra due persone, si risolve in una relazione disarmonica nella quale la donna assume il ruolo di oggetto venendo privata così della propria unicità.

E’ un errore pensare che le donne di oggi siano più forti rispetto a quelle del passato grazie all’autonomia economica e l’evoluzione sociale: le donne “moderne” continuano a creare rapporti simbiotici con uomini problematici vivendo un relazione vittima-aggressore logorante e priva di romanticismo i cui sviluppi, alcune volte, sono tragici.

In seguito al processo di erosione di una concezione della famiglia fondata sulla preminenza del marito come suo “capo”, l’art. 143 cc stabilisce il principio della parità giuridica e morale tra coniugi, in armonia con i principi costituzionali (l’artt. 2, 3,  29, 30 Cost.). La famiglia, nella volontà legislativa, rappresenta il luogo di esplicazione della personalità del singolo (art. 2 Cost.); in essa ciascun componente, accanto ai diritti nascenti dallo status familiare, è titolare di diritti inviolabili che ha in qualità di persona, anche se l’esercizio di tali diritti deve fare i conti con l’esigenza di preservare l’unità familiare e con i doveri nascenti dal matrimonio.

Il rapporto sessuale, all’interno della relazione matrimoniale, acquisisce un ruolo centrare anche perché spesso viene valutato come metro del coinvolgimento affettivo del partner, ma non esiste alcun obbligo, ne morale ne giuridico, a subirlo per assecondare il desiderio libidinoso del proprio marito. Sono stati diversi i casi nei quali le donne sono ricorse al Giudice per veder riconosciuto il loro diritto di “dire no”, come esigenza spesso, di affrontare le loro paure per essere finalmente  riconosciute.

Un caso di “amore malato” è stato oggetto di processo nel 2014 ed ha portato alla sentenza della terza sezione Penale della Cassazione nel 2016 (Cass. Pen. 12 Luglio 2016 n. 28492). Analizziamolo brevemente.

Con sentenza, emessa in data 10 dicembre 2014, la Corte d’appello di Milano, parzialmente riformava la sentenza con la quale il Gip del Tribunale di Monza aveva condannato M.B. alla pena di anni 5 di reclusione per i delitti di cui agli artt. 81 cpv., 94, 572, 582, 576, n. 5, 609 bis, cod. pen. in danno di G.A.. La Corte territoriale osservava che era stata raggiunta la prova della responsabilità penale del prevenuto in ordine a detti reati, in particolare confermando il giudizio di attendibilità piena della p.o., anche con riguardo al dissenso in relazione all’unico episodio di violenza sessuale ritenuto nella sentenza del primo giudice. Il giudice di appello riteneva peraltro non congruamente fissato il trattamento sanzionatorio, sicchè riduceva la pena inflitta al B. ad anni 3 mesi 8 giorni 20 di reclusione.

Innanzitutto si deve fermare l’attenzione sugli artt. oggetto di imputazione che ci interessano all’interno del tema:

  1. L’art. 94 cp stabilisce che quando, il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata; “agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza”. / M.B impone la prestazione sessuale in uno stato di ubriachezza che in lui era abituale, ecco perché il suo comportamento non è giustificabile ne da un punto di vista morale ne tantomeno giuridico.
  2. l’art. 572 cp, tutela l’integrità psico-fisica di coloro che, per età o per rapporti di tipo familiare o di affidamento, si trovino nelle condizioni di subire, proprio nei contesti in cui dovrebbero ricevere maggior protezione, condotte di prevaricazione fisica o morale che la minino./ M.B era già stato condannato, con sentenza del Tribunale di Monza in data 17 novembre 2008, per lo stesso reato ma per fatti anteriori al 4 giugno 2006. La condanna di MB non aveva realizzato nessun effetto inibente: la violenza sulla moglie era una il modo tipico di interagire con lei.
  3.  Il delitto di cui all’art. 609-bis cod. pen. ” è integrato ogni qual volta sia lesa la libertà dell’individuo di poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia, senza condizionamenti di ordine fisico o morale; con la conseguenza che non hanno diritto di cittadinanza, nella valutazione della condotta criminosa, eventuali giustificazioni dedotte in nome di presunti limiti o diversità culturali nella concezione del rapporto coniugale, posto che le stesse porterebbero al sovvertimento del principio dell’obbligatorietà della legge penale e all’affievolimento della tutela di un diritto assoluto e inviolabile dell’uomo quale è la libertà sessuale“(tra le molte, v. Sez. 3, n. 37364 del 05/06/2015, B., Rv. 2651879)./ In particolare, la Corte d’appello di Milano, ha rilevato che quella notte la A. era a dormire in un’altra stanza della casa coniugale e vi è stata letteralmente “prelevata” dall’imputato, che poi l’ha assoggettata alle attività sessuali che riteneva, senza che evidentemente avesse la necessità di usare altri particolari mezzi di costrizione, dato appunto il suo “costume” di vita coniugale accertato
  4. L’art. 609 bis ult. co prevede un’attenuante specifica “Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”./ Il giudice di appello, valutando il fatto “globalmente”, ha rilevato che il rapporto coniugale tra imputato e p.o. non potesse ritenersi motivo di attenuazione della gravità intrinseca della violenza sessuale, considerata la sostanziale abitualità del comportamento dell’imputato stesso, il quale, del tutto indebitamente, riteneva l’attività sessuale una sorta di prestazione dovuta dalla moglie.

Da quanto esposto emerge che la Corte territoriale “ha puntualmente ricostruito, in fatto, il problematico rapporto coniugale de quo, giustamente valorizzando sul piano deduttivo le pregresse denuncia e condanna per fatti analoghi; ha inoltre analiticamente valutata l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni accusatorie della A., con particolare riguardo allo stato di completa soggezione fisica e morale nel quale essa era stata ridotta dal comportamento aggressivo del marito. Tanto che le “prestazioni sessuali” richieste ed ottenute sono state la derivazione inevitabile di questo assoggettamento permanente della p.o.”(Cass. Pen. 12 Luglio 2016 n. 28492). Questo ha portato ad escludere la configurazione dell’attenuante di  minor gravità del fatto e a riconoscere il delitto di violenza sessuale in capo a M.B che con condotte di maltrattamenti continuati di fatto aveva manipolato psicologicamente la moglie per anni e costretta a subire un atto sessuale.

In conclusione la sentenza di condanna di MB, come rilevato dalla Cassazione, non è censurabile e i motivi di impugnazione sono tutti infondati ma ciò che emerge dalle carte di questo, come di altri processi, è che le donne oggetto di violenza decidono di adire al giudice solo dopo diversi anni di soprusi come se la presa di coscienza della condizione miserevole fosse lenta e graduata…

Dottssa Eva Simola

 

Pubblicato da evasimola

Il blog è diretto dalla dottoressa Eva Simola presidente dell'Associazione "Legalità Sardegna" [email protected] codice fiscale 91027470920 Cellulare +393772787190