L’autoerotismo in luogo pubblico è ancora reato? ( Art. 527 cp Atti osceni)

   Ha destato notevole interesse, nei giorni scorsi, la notizia, apparsa in diverse testate giornalistiche, secondo la quale la Cassazione ha “stabilito che non è più reato masturbarsi in luogo pubblico”(Cass sez III 07/09/2016 n 36867).
Espressa così, la notizia appare sconcertante non solo perché sembra che sia stata la Suprema Corte a stabilire che “non è più reato masturbarsi in pubblico” ma soprattutto perché pare evidente che non può essere considerata lecita una tale condotta.
Innanzitutto vi è da dire che la Cassazione era stata chiamata a pronunciarsi sul caso di Pietro L., condannato dalla Corte d’Appello di Catania, il 14 maggio 2015 a tre mesi di reclusione. L’uomo era stato rinviato a giudizio perché, “dopo aver estratto il proprio membro”, era stato visto praticare “l’autoerotismo” davanti alle studentesse che frequentavano la cittadella universitaria nei pressi della quale lui si posizionava (elemento quest’ultimo che acquisisce particolare rilevanza per quanto verrà detto successivamente).
Pietro L. era stato condannato sulla base dei contenuti dell’art. 527 cp il quale prima, della riforma avvenuta con D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, stabiliva che “Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni”. Al momento della pronuncia della Corte di Cassazione però, era già in vigore (dal 6 Febbraio ca) il nuovo precetto il quale stabilisce che “Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni [c.p. 529] è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000”. Pertanto, appare palese, che è stato il legislatore e non la Cassazione ad abrogare il reato: la Suprema Corte alla luce di quanto previsto dall’art.8 del Dlgs 8/2016 secondo cui le disposizioni del decreto che “sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applica anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili, caso nel quale provvederà il giudice dell’esecuzione alla revoca della sentenza o del decreto” ha correttamente annullato senza rinvio la condanna inflitta a Pietro L. in secondo grado “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” (“abolitio criminis” ex art 2 cp, art. 620 cpp). I giudici della Suprema corte, quindi, hanno eliminato gli effetti penali della condanna per atti osceni in luogo pubblico e disposto la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente, cioè al Prefetto di Catania, per la determinazione in concreto dell’ammontare della sanzione (Art.9 D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8).
Ciò non toglie che la sostituzione di una pena detentiva con una sanzione amministrativa indichi un precisa mutazione di prospettiva nella repressione degli atti osceni: durante la vigenza della vecchia norma si osservava come il bene giuridico tutelato facesse riferimento, non ad un sentimento della collettività, ma al sentimento dei singoli, considerato in quanto ad essi è comune (v. ANTOLISEI, PS, I, 556). Dopo l ‘entrata in vigore della nuova disciplina sui reati sessuali, attraverso una interpretazione sistematica, la dottrina evidenziò come delitto di atti osceni doveva essere costruito come un delitto contro la persona, nell’ottica di offesa individuale o collettiva alla riservatezza sessuale, in cui il fatto offende la riservatezza e il pudore sessuali intesi come diritto a non essere molestati da manifestazioni invasive di sessualità esplicita di terzi (DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti, in RIDPP, 2008, 1581). Attualmente gli atti osceni rimangono un reato solo nell’ipotesi di cui all’art 427, II cp secondo il quale “Si applica la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi se il fatto è commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano “(comma aggiunto dal comma 22 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94 e, successivamente, così modificato dall’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, a decorrere dal 6 febbraio 2016) pertanto non è corretto affermare che “masturbarsi in luogo pubblico” non costituisce più reato dovendosi distinguere, a seconda del caso concreto, tra la fattispecie di cui al primo comma e quella di cui al secondo.
In conclusione l’adattamento del sistema normativo al mutamento del tipo di sensibilità collettiva all’osceno, l’urgenza di alleggerire il sistema giudiziario e ridurre il numero dei detenuti nonché spiccate esigenze di macroeconomia spingono il legislatore a rivisitare la risposta sanzionatoria in ipotesi di atti osceni” pur mantenendo sempre salva l’esigenza di tutela dei minori più facilmente influenzabili da condotte “irregolari” a sfondo sessuale.
Dottssa Eva Simola

Pubblicato da evasimola

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