La società in house

La direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, attribuisce agli Stati membri il potere di decidere le modalità organizzative della prestazione dei servizi di interesse economico generale (art. 1, par. 6), in tale ambito, si possono dare ipotesi ben distinte: l’affidamento a società totalmente estranea alla pubblica amministrazione, l’affidamento società con azionario misto, in parte pubblica in parte privato ed infine l’affidamento società cosiddette in house. La società in house, pur trattandosi all’origine di una figura di stampo eminentemente giurisprudenziale, non ha tardato ad acquistare cittadinanza anche nella legislazione nazionale: può essere definita come un modello organizzatorio per mezzo del quale la pubblica amministrazione usufruisce di prestazione a contenuto negoziale al proprio interno, servendosi di un ente strumentale formalmente distinto sul piano formale (trattandosi di un soggetto di diritto autonomo), ma non anche alla stregua di una valutazione sostanziale (trattandosi di un ente sottoposto al penetrante controllo dell’amministrazione, come fosse un organo dell’amministrazione stessa).

L’art. 16 del testo pubblico delle società a partecipazione pubblica coordina la disciplina nazionale in materia di in House providing con quella europea e, in particolare con le disposizioni contenute nella direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici: La ratio della norma consiste nell’evitare che l’aggiudicazione di un affidamento diretto (cioè privo di una procedura competitiva) determini un indebito vantaggio in favore di operatori economici privati, titolari di una partecipazione nel capitale della società partecipata, ai danni degli altri operatori economici concorrenti e, al contempo, nell’evitare di sfavorire quelle realtà in cui la presenza di soggetti privati si sia resa obbligatoria da una norma di legge, a condizione che almeno siano rispettati i presupposti del controllo analogo della pubblica amministrazione.

Il comma 1 subordina l’affidamento diretto di contratti pubblici alle società in house da parte di amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo ovvero il controllo analogo congiunto alla condizione: che non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione che siano prescritte da norme di legge e che non comportino controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sulla società controllata.

Il comma 2 conferisce agli statuti delle società in house la facoltà di derogare ad alcune disposizioni del codice civile. In particolare:
§ gli statuti delle S.p.A. possono contenere clausole in deroga delle disposizioni dell’articolo 2380-bis (amministrazione della società nel sistema di governance tradizionale) e dell’articolo 2409-
novies (amministrazione della società nel sistema di governance dualistico) del codice civile (lettera a)). Si tratta di deroghe in tema di esclusività della gestione di società, che si spiegano con il ruolo penetrante, in tema di direzione e gestione, svolto dall’amministrazione pubblica nei confronti dell’organo amministrativo societario, che si ha nei casi in cui sussiste il controllo analogo.
§ gli statuti delle S.r.l. possono prevedere l’attribuzione all’ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell’articolo 2468, terzo comma, del codice civile (lettera b)).
§ in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali; tali patti possono avere durata superiore a cinque anni,
in deroga all’articolo 2341-bis, primo comma, del codice civile (lettera c))

Il comma 3 dispone che gli statuti delle società in house debbano prevedere che oltre l’8068 per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci. Prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n.100 del 2017, il comma prevedeva altresì la possibilità che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato fosse consentita solo a condizione che la stessa permettesse di conseguire economie di scala o altri guadagni di
efficienza produttiva nell’esercizio dell’attività principale della società. Tale disposizione, peraltro arricchita da un ulteriore contenuto, è confluita in un distinto comma (il 3-bis comma 3-bis – inserito dal decreto legislativo n. 100 del 2017 – prevede che la produzione ulteriore rispetto al limite di fatturato dell’80 per cento (fissato dal comma 3) sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società. Rispetto alla richiamata formulazione della seconda parte del comma 2, poi soppressa dal D.lgs. n.100 del 2017, in quella in esame si specifica che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato può essere rivolta anche a finalità diverse rispetto ai compiti affidati dalle amministrazioni pubbliche.
Il comma 4 dispone che il mancato rispetto del limite dell’80 per cento del fatturato (di cui al comma 3) costituisce grave irregolarità ai sensi dell’articolo 2409 del codice civile e dell’articolo 15 del decreto legislativo in esame.
L’art. 2409 c.c. dispone in ordine alla facoltà, in capo ai soci della società di denunciare dinnanzi al tribunale gli amministratori di cui si sospetti che abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione tali da arrecare danno alla società (o a società controllate). il Consiglio di Stato ha rilevato _ nel parere n.298 del 2015_ che, con detta disposizione, il legislatore europeo ha offerto una precisa quantificazione del requisito che la giurisprudenza era solito definire come parte piu rilevante dell attivita svolta.
Il comma 5 dispone che, nel caso di mancato rispetto del richiamato limite di fatturato, la società possa sanare l’irregolarità se, entro tre mesi dalla data in cui la stessa si è manifestata, rinunci a una parte dei rapporti di fornitura con soggetti terzi, ovvero rinunci agli affidamenti diretti da parte dell’ente o degli enti pubblici soci. Nell’uno e nell’altro caso la società è tenuta a sciogliere i relativi rapporti contrattuali. Nel caso in cui la società opti per la rinuncia agli affidamenti diretti da parte degli enti pubblici soci, il riaffidamento delle attività precedentemente. Il riferimento all’articolo 15 (riguardante monitoraggio, indirizzo e coordinamento sulle società a partecipazione pubblica) appare peraltro non del tutto chiaro, tenuto conto che in esso non si fa esplicito riferimento a forme di “grave irregolarità” (invece presenti all’art. 13, relativo al controllo giudiziario sull’amministrazione di società a controllo pubblico, e all’art. 14, con riferimento alla mancata adozione di adeguati provvedimenti per contrastare crisi di impresa) svolte dalla società controllata deve essere effettuato, dall’ente o dagli enti pubblici soci, mediante procedure competitive regolate dalla disciplina in materia di contratti pubblici, entro i sei mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale. Nelle more dello svolgimento delle procedure di gara i beni o servizi continuano a essere forniti dalla stessa società
controllata.
Il comma 6 prevede che, nel caso di rinuncia agli affidamenti diretti (di cui al comma 5), la società possa continuare la propria attività se e in quanto sussistano i requisiti previsti dall’articolo 4 per la costituzione di società partecipate (si veda la scheda del presente dossier relativa a tale articolo). A seguito della cessazione degli affidamenti diretti, perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali finalizzati a realizzare i requisiti del controllo analogo.
Il comma 7 prevede che le società in house provvedano all’acquisto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina recata dal nuovo codice dei contratti pubblici, fermo quanto previsto dagli articoli 5 e 192 del medesimo codice.
L’art. 5 del nuovo codice dei contratti pubblici reca principi comuni in materia di esclusione per concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito del settore pubblico.
L’art. 192 disciplina il regime speciale degli affidamenti in house, prevedendo l’istituzione presso l’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) dell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house)

Parere della Seconda Sezione del Consiglio di Stato n. 298/2015:
requisiti per gli affidamenti diretti in house Nel parere n. 298/2015, la Seconda Sezione del Consiglio di Stato – investita della richiesta di parere in ordine alla possibilità per il Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca di affidare in via diretta al Cineca (Consorzio interuniversitario) servizi nel campo dell’informatica, concernenti il sistema universitario, della ricerca e scolastico – ha approfondito e chiarito, alla luce delle disposizioni della direttiva 2014/24/UE, i presupposti e le condizioni di ammissibilità degli affidamenti diretti in house. In particolare, richiamando una propria precedente pronuncia, il Consiglio di Stato evidenzia che, oltre ai requisiti dell’istituto già definiti in via
giurisprudenziale, una società partecipata da un ente pubblico, per poter essere investita direttamente della gestione di un compito, non deve presentare i seguenti ulteriori caratteri: la presenza di privati al capitale sociale o anche la mera previsione statutaria di una futura ed eventuale privatizzazione; la presenza di previsioni statutarie che permetterebbero alla società di acquisire una vocazione commerciale tale da rendere precario il controllo da parte dell’ente pubblico (ad esempio la possibilità di ampliare l’oggetto sociale, l’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali, l’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero). Passando all’esame dell’art. 12 della direttiva, il Consiglio di Stato rileva come il legislatore europeo – nel disciplinare un istituto regolato finora esclusivamente in via giurisprudenziale – abbia in parte recepito la giurisprudenza, ma, in una parte rilevante, abbia profondamente innovato, “definendo in modo
parzialmente diverso le condizioni di esclusione dalla direttiva medesima. L’art. 12 cit., infatti, nel confermare che, nel caso di “in house providing” escluso dalla direttiva, ‘l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi’ (art.12 cit., 1° par., lett. a), ha aggiunto una precisa definizione in ordine all’ulteriore requisito della cosiddetta ‘parte più importante dell’attività svolta’, secondo cui ‘oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice’ (art.12 cit., 1° par., lett. b). Ed alla successiva lett. c) ha aggiunto
la condizione ulteriore e parzialmente innovativa (rispetto alla giurisprudenza comunitaria e nazionale), secondo cui ‘nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata’. Ha poi aggiunto nell’ultima parte del primo paragrafo cit., a maggiore definizione  della nozione comunitaria di ‘controllo analogo’, che ‘si ritiene che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi della lettera a) qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice’. Quindi l’art. 12, paragrafo 1 cit. richiede che, ai fini dell’esclusione dei contratti tra soggetti pubblici
dall’applicazione della direttiva, l’amministrazione aggiudicatrice debba svolgere sull’altro ente pubblico ‘un controllo analogo a quello che esercita sui propri dipartimenti/servizi’; inoltre che più dell’80% delle prestazioni dell’altro ente pubblico siano effettuate a favore dell’amministrazione aggiudicatrice o di un altro ente pubblico controllato dalla prima; infine che l’altro ente pubblico che
riceve l’affidamento dall’amministrazione aggiudicatrice non sia controllato da capitale privato, (…); e che in ogni caso tale partecipazione non determini influenza dominante (la percentuale dell’80% richiama la stessa quota dettata, per i settori speciali, dagli artt. 218 del dlg.163/06 e 23 Dir. 17/2004)”. Il Consiglio di Stato rileva, inoltre, che la disciplina contenuta nella direttiva è stata “introdotta per la prima volta con diritto scritto” ed è “destinata a regolare a brevissimo la concorrenza nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nell’U.E.”

*Immagine presa dal web

Pubblicato da evasimola

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