Il peculato

   Il peculato è un delitto dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione previsto dall’articolo 314 del codice penale. Più precisamente la norma punisce il un pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che  si appropria, di denaro o di altra cosa mobile altrui, di cui ha il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio” (nel caso in cui un privato offra un contributo rilevante alla realizzazione dell’illecito si applica, secondo le regole del concorso di persone nel reato, l’articolo 117 codice penale).

Ad esempio: l’attività di raccolta del risparmio postale, specificamente e autonomamente contemplata dall’articolo  2, comma 1, lettera b), DPR n. 122 del 2002, riveste natura pubblicistica per cui il dipendente di poste italiane spa, che si appropria di somme di denaro afferenti al risparmio postale (libretti postali e buoni fruttiferi postali) riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio e pertanto risponde del reato di peculato (e non di appropriazione indebita) (Cass. 14227/2017)

   Presupposto della condotta di peculato è innanzitutto il possesso o la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui (questo significa  che colui che risulta essere titolare del bene o interesse tutelato dalla norma penale (cd soggetto passivo) può essere tanto la pubblica amministrazione quando il cittadino a seconda dell’appartenenza della cosa oggetto di espropriazione). La norma fa riferimento sia al possesso immediato (cioè la disponibilità materiale della cosa) sia al possesso mediato (o disponibilità giuridica, ossia il potere di disporre del bene materialmente detenuto da altri). È possesso penalmente rilevante anche la disponibilità congiunta o compossesso.

   Secondo la dottrina prevalente e la giurisprudenza il peculato costituisce un esempio di reato plurioffensivo nel senso che con la commissione del delitto viene leso sia il regolare funzionamento e il prestigio della della p.a  sia, e soprattutto, gli interessi patrimoniali di quest’ultima (questo significa che, come sostenuto da Cass. Pen. N. 21236/2008 e n. 256/2011, l’eventuale mancanza di un danno patrimoniale conseguente alla commissione del delitto non esclude la sussistenza del reato in quanto rimane pur sempre leso l’interesse al buon andamento della pubblica amministrazione).

    Altro requisito per l’applicabilità del 314 è la ragione dell’ufficio o del servizio che deve qualificare il possesso della cosa fatta propria. Per la dottrina questo indica che è necessaria l’esistenza di un rapporto di dipendenza funzionale tra il possesso e l’esercizio della pubblica funzione mentre per  la giurisprudenza prevalente il possesso rilevante non è soltanto quello collegato con una competenza specifica, strettamente funzionale, ma anche quello determinato dalla prassi e perfino dalla mera occasionalità e comunque riconducibile all’ufficio o servizio: “ in tema di peculato, il possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consente al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rientrando nella pubblica funzione anche la sola occasione per un tale comportamento” (Cass. Pen. 9660/2015). “Integra il delitto di peculato la condotta del pubblico ufficiale che omette o ritarda di versare ciò che ha ricevuto per conto della amministrazione, in quanto tale comportamento costituisce un inadempimento non ad un  proprio debito pecuniario, ma all’obbligo di consegnare il denaro al suo legittimo proprietario, con la conseguenza che, sottraendo  la res alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, egli realizza un’inversione del titolo del possesso “uti dominus” (Cass. Pen.n. 53125 /2014).

   Nel delitto di peculato l’appropriazione consiste in due momenti (cd interversione del possesso):

  1. a) l‘espropriazione del proprietario del rapporto con la cosa,
  2. b) l’impropriazione cioè la creazione della signoria di fatto tra il pubblico ufficiale e la cosa altrui di cui ha il possesso per ragione del suo ufficio.

(È necessaria, come affermato dalla giurisprudenza, la volontà di tenersi per sé i beni altrui. Il reato è a dolo generico: l’agente vuole realizzare la condotta descritta nella norma).

   Si richiede, infine, l’altruità della cosa oggetto del reato intesa come“ qualsiasi altrui diritto, reale o personale, sulla cosa che abbia, nel caso concreto, un valore economico – sociale maggiore della proprietà “ (SEMINARA). Oggetto del reato sono il denaro e la cosa mobile altrui; quanto al momento consuntivo il peculato si realizza nel momento in cui si perfeziona l’appropriazione con conseguente irrilevanza della restituzione in cassa della cosa sottratta (cd reato istantaneo); stessa considerazione vale per il luogo del commesso reato.

   In relazione ai rapporti con le altre fattispecie, non sempre è agevole la distinzione tra peculato e truffa aggravata (articolo 61, n. 9, codice penale).

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cassazione pen. n.18886/2017; Cass. Pen. n. 735/20012) occorre avere riguardo alle modalità di acquisizione del possesso:

  • La truffa è integrata quando gli artifici o raggiri sono posti in essere per conseguire la disponibilità del denaro o della cosa mobile;
  • il peculato invece quando l’agente, avendo già tale disponibilità, utilizza gli artifici o i raggiri per occultare l’illecita appropriazione.

Quanto  invece ai rapporti con la fattispecie di abuso d’ufficio la giurisprudenza (Cassazione penale 12306/2008) ha evidenziato che:

  • nel delitto di peculato, la condotta consiste nell’appropriazione di denaro o di altra cosa mobile altrui, di cui il responsabile del possesso ha la responsabilità per ragione del suo ufficio, onde la violazione dei doveri di ufficio costituisce esclusivamente la modalità della condotta, e cioè l’appropriazione;
  • nella figura criminosa di abuso d’ufficio di cui all’articolo 323 codice penale la condotta si identifica con l’uso funzionale, cioè con l’esercizio delle potestà e con l’uso dei mezzi inerenti ad una funzione pubblica per finalità differenti da quelle per le quali l’esercizio del potere è concesso.

 La procedibilità è d’ufficio e la competenza è del tribunale collegiale

Pubblicato da evasimola

Il blog è diretto dalla dottoressa Eva Simola presidente dell'Associazione "Legalità Sardegna" [email protected] codice fiscale 91027470920 Cellulare +393772787190