Il diritto al silenzio

    Il diritto al silenzio è un aspetto importante della presunzione di innocenza e funge da protezione contro l’autoincriminazione (anch’essa aspetto fondamentale della presunzione di innocenza).

     L’imputato infatti custodisce conoscenze la cui emersione nel processo basterebbe a garantire il risultato di una sentenza “giusta” (nel senso di attinente ai fatti in senso assoluto) ecco perché gli organi inquirenti sono stati esposti alla tentazione di estrarre la verità dalla persona sottoposta a procedimento con metodo coercitivi: nel sistema inquisitorio (1) si è giustificato l’uso sistematico della forza al fine di estorcere dichiarazioni dall’inquisito. (All’ opposto vi è il modello garantista di processo accusatorio (2) imperniato sul nemo tenetur se detegere (3), che è massima enunciata da Thomas Hobbes e recepita nel diritto inglese sin dal XVI secolo, i cui fondamenti politici e giuridici si consolidano e si diffondono in Europa con l’illuminismo).

    Il fondamento del diritto al silenzio è eminentemente politico sul presupposto che sia inaccettabile imporre all’imputato di divenire accusatore di sé stesso: quando si intende acquisirne la deposizione viene bandita ogni forma di coartazione della sua libertà morale, anche a costo di sacrificare l’accertamento del fatto di reato e di escludere l’uso di dichiarazioni che potrebbero rivelarsi proficue sul piano probatorio. Ne deriva che gli indagati e imputati, se invitati a rilasciare dichiarazioni o a rispondere a domande, non devono essere costretti a produrre prove o documenti o a fornire informazioni che possano condurre all’autoincriminazione Si pone quindi anche per lo Stato italiano il problema del bilanciamento tra esigenze repressive e garanzie individuali risolto con un sistema misto: accusatorio e inquisitorio pertanto se l’ esercizio del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi astrattamente non può essere utilizzato contro l’indagato o imputato né può essere considerato di per sé quale prova che l’indagato o imputato in questione abbia commesso il reato ascrittogli, il diritto al silenzio lascia comunque  impregiudicate le norme nazionali in materia di valutazione della prova da parte di tribunali o giudici, a condizione che i diritti della difesa siano rispettati, questo implica che il diritto al silenzio (cd ius tacendi), libera scelta dell’imputato, può di fatto produrre un effetto a lui negativo: in molte decisioni della Corte Europea pare che essa si sia preoccupata di definire i limiti del diritto al silenzio. Più precisamente, lo ius tacendi, pur essendo al centro della nozione di processo equo, non è espressione di un diritto assoluto. Una condanna cioè non può fondarsi esclusivamente o essenzialmente sul silenzio dell’imputato, ma non è esclusa la configurabilità di situazioni in cui la mancata risposta può indirettamente nuocere all’imputato. Difatti, secondo la Corte di Strasburgo, qualora lo svolgimento del processo abbia evidenziato un quadro probatorio sfavorevole all’imputato, che già dimostri sufficientemente la colpevolezza, tale comunque da esigergli concretamente di dare spiegazioni in chiave difensiva, l’esercizio della facoltà di non rispondere ben potrà costituire un elemento apprezzabile come “riscontro” a suo carico (vedi Corte e.d.u., 8 febbraio 1996, Murray c. Regno Unito; Corte e.d.u., 6 giugno 2000, Averill c. Regno Unito). Conformemente a queste decisioni la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che al giudice “non è precluso valutare la condotta processuale dell’imputato, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli, nella formazione del suo libero convincimento, ben può considerare, in concorso di altre circostanze, la portata significativa del silenzio su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo” (Sez. 2, n. 22651 del 21/04/2010 Rv. 247426). Seguendo questo ragionamento è stato affermato ad esempio cheCorrettamente, quindi, i giudici di merito hanno ritenuto l’imputato responsabile del reato di rapina essendo lo stesso stato trovato poco tempo dopo l’occorso in compagnia del coimputato, proprietario del mezzo pacificamente impiegato per la rapina, senza che il predetto abbia spiegato in modo logico e plausibile le ragioni del perché si trovava con il predetto a bordo del mezzo suindicato” (corte suprema di cassazione sezione seconda penale Sent., (ud. 20/09/2019) 18-11-2019, n. 46664).

      Va ricordato che l’art. 64 co. 3 lett. b) c.p.p. codifica il principio nemo tenetur se detegere  che si appalesa pure nella possibilità di mentire il Corte Cost., sent. n. 179/1994, “l’imputato non solo gode della facoltà di non rispondere, ma non ha nemmeno l’obbligo di dire la verità”). Più precisamente il diritto al silenzio trova ampio riconoscimento nella disciplina codicistica (codice di rito o codice di procedura penale). In particolare, la persona sottoposta alle indagini preliminari dev’essere avvertita che, salvo l’obbligo di dichiarare le proprie generalità e quant’altro valga ad identificarla (artt. 66, comma 1, c.p.p., 21 disp. att. c.p.p.), “ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda” (art. 64, comma 3, lett. b) c.p.p.). Tale avviso è obbligatorio, a pena d’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’interrogato (art. 64, commi 3, lett. b) e 3-bis, c.p.p.). La regola testé descritta si applica, in quanto richiamata, durante ogni fase del procedimento, nella totalità degli atti costituenti formalmente un “interrogatorio” dell’indagato o dell’imputato; come pure in tutti quelli che risultano, sostanzialmente, ad esso assimilabili, in quanto possibili sedi di domande all’incolpato

    A livello sovranazionale l’art. 14 n. 3 lett. g) del Patto internazionale sui diritti civili e politici assicura ad ogni individuo accusato di un reato il diritto “a non essere costretto a deporre contro se stesso od a confessarsi colpevole”. Inoltre, pur in mancanza di un riferimento espresso nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo riconosce pacificamente ad ogni accusato il diritto di tacere e di non autoincriminarsi, quale nucleo centrale della nozione stessa di fair trial (giusto processo) consacrata nell’art. 6 C.e.d.u.14, la cui ratio va individuata nell’esigenza di proteggere l’inquisito da eventuali coercizioni abusive dell’autorità, cui possano conseguire errori giudiziari: si ritiene, infatti, che l’impiego di prove che costituiscano il frutto di confessioni estorte determini una forte presunzione di iniquità del processo (In questo senso v. C. eur., 30 giugno 2008, Gäfgen c. Germania, § 99; v., altresì, C. eur., 26 settembre 2006, Göḉmen c. Turchia, in Cass. pen., 2007, 1351; e Id., 11 luglio 2006, Jalloh c. Germania, ivi, 2006, 3843.)

     Per determinare se il diritto al silenzio o il diritto di non autoincriminarsi sia stato violato, è opportuno tener conto dell’interpretazione del diritto a un equo processo ai sensi della CEDU data dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (considerando 27 direttiva (ue) 2016/343). L’atto europeo in questione, infatti, all’art. 7, disciplina proprio il diritto al silenzio e quello a non autoincriminarsi, affermando espressamente, al paragrafo 5, che “L’esercizio da parte degli indagati e imputati del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi non può essere utilizzato contro di loro e non è considerato quale prova che essi abbiano commesso il reato ascritto loro. La norma in questione ha però un valore meno perentorio di quello che potrebbe sembrare, dovendo essere letta alla luce del considerando 28 della stessa Direttiva, secondo cui “l’esercizio del diritto di non autoincriminarsi non dovrebbe impedire alle autorità competenti di raccogliere prove che possano essere ottenute lecitamente dall’indagato o imputato ricorrendo a poteri coercitivi legali e che esistono indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo, come il materiale ottenuto sulla base di un mandato, o per il quale sussista l’obbligo per legge di conservarlo e fornirlo su richiesta, o l’analisi dell’aria alveolare espirata, del sangue o delle urine, o dei tessuti corporei per la prova del DNA. Il diritto al silenzio e il diritto di non autoincriminarsi non dovrebbero impedire agli Stati membri di decidere che, per quanto riguarda le infrazioni minori, quali le infrazioni minori del codice della strada, lo svolgimento del procedimento, o di alcune sue fasi, possa avvenire per iscritto o senza un interrogatorio dell’indagato o imputato da parte delle autorità competenti in merito al reato in questione, purché ciò avvenga in conformità con il diritto a un equo processo. Gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di garantire che, quando gli indagati o imputati ricevono informazioni sui loro diritti a norma dell’articolo 3 della direttiva 2012/13/UE, siano informati anche in merito al diritto di non autoincriminarsi, come applicabile a norma del diritto nazionale conformemente alla presente direttiva. Gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di garantire che, quando gli indagati o imputati ricevono la comunicazione dei diritti a norma dell’articolo 4 della direttiva 2012/13/UE, tale comunicazione contenga anche informazioni in merito al diritto di non autoincriminarsi, come applicabile a norma del diritto nazionale conformemente alla presente direttiva”. Si deduce da queste affermazioni che un’informazione completa, non solo sulla contestazione, ma anche sugli elementi a carico costituisce un presupposto imprescindibile per valorizzare, in qualunque modo si decida di farlo, il silenzio dell’accusato

   Ne consegue che, sia a livello sovranazionale che a livello nazionale, sì applica un bilanciamento tra diritto al silenzio e diritto alla verità processuale che si determina in base al quadro probatorio della singola causa.

 

(1) In questo modello processuale la figura del giudice e quella dell’accusatore si fondono in un unico soggetto, l’inquirente (o inquisitore), dato che non esistono accusatore e accusato come parti processuali in senso proprio. È l’inquirente ad avviare d’ufficio il processo, introdurre le questioni di fatto, acquisire le relative prove e valutare queste ultime, in modo del tutto indipendente dalle parti, decidendo poi sulla base degli atti dell’attività istruttoria così condotta. Inoltre, a differenza del sistema accusatorio, in quello inquisitorio il processo si fonda su fonti di prova documentali acquisite durante le indagini, e non su dichiarazioni rese nel corso del dibattimento; inoltre l’acquisizione delle prove si svolge nella pressoché totale segretezza e la loro efficacia probatoria si sottrae al contraddittorio tra pubblica accusa e imputato.

(2) Nel sistema accusatorio il giudice ha un ruolo neutrale: sono le parti – colui che è stato accusato del reato  (l’accusato, assistito dal suo difensore) e chi lo accusa (l’accusatore) – ad avviare il processo e ad introdurre nello stesso le questioni di fatto  e le relative prove; solo le prove così allegate possono essere esaminate dal giudice. Le parti hanno un ruolo attivo anche nell’esame delle prove, in particolare nell’interrogatorio dei testimoni (la cosiddetta cross-examination). Compito del giudice è assicurare che la contesa tra le parti si svolga nel rispetto delle norme di procedura e pronunciare la sentenza sulla base delle risultanze emerse nel corso del processo, tenendo conto che l’onere della prova grava sull’accusatore. Tutta l’attività processuale si svolge tipicamente in modo orale, durante udienze alle quali è di regola ammesso ad assistere il pubblico.

(3) La locuzione latina nemo tenetur se detegere (anche nella forma nemo tenetur se ipsum accusare) esprime il principio di diritto processuale penale in forza del quale nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale (auto-incriminazione).

 

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Pubblicato da evasimola

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